Da Mazzone a Bolchi, dalla A alla A. Il Lecce dei primi anni ’90 – V puntata

Chiuso il campionato dei record, per il Lecce, salvo per la prima volta in A, comincia da una nuova stagione ricca di insidie

La quintapuntata della storia del Lecce Calcio propone un arco di tempo lungo e significativo. Si va dall’ultima stagione di Carlo Mazzone alla fine dell’era Jurlano, passando per un’altra epica promozione in serie A, quella del 1993, quando sulla panchina del Lecce sedeva Bruno Bolchi. Sono anni di gloria, ma anche di inquietudine, con la disastrosa retrocessione del ’93 –’94 e la successiva caduta libera dell’anno dopo. Dalla stelle alle stalle, dalla A alla C.
Poi sarebbe nato il sole di un tempo nuovo…

Chiuso il campionato dei record, per il Lecce salvo per la prima volta in A e per l’Inter di Giovanni Trapattoni che aveva conquistato lo scudetto con la bellezza di 58 punti su 68 disponibili, si ricomincia da una nuova stagione ricca di insidie.

La serie A, portata a 18 squadre l’anno precedente, riproponeva il derby con il Bari neopromosso di Gaetano Salvemini. In quella che sarebbe stata la stagione del secondo scudetto del Napoli di Maradona, il Lecce di Carlo Mazzone tentava di bissare il traguardo della salvezza, anche se il presidente Franco Jurlano non nascondeva le velleità di aspirazioni ben più temerarie.

L’impianto della squadra però resta quello dell’anno prima, con l’innesto di Raimondo Marino, proveniente dalla Lazio, Antonio Carannante dal Napoli e di Pietro Paolo Virdis dal Milan. Per il resto era il Lecce dei leccesi Moriero, Conte, Monaco, Garzja, Levanto, Miggiano.

La partenza fu buona per una squadra candidata al mantenimento della categoria, con il Lecce puntualmente sconfitto in trasferta e vittorioso in casa, alternando così vittorie e sconfitte come in un gioco di simmetrie. Certo in casa il Lecce faceva paura. Alla fine 21 dei 28 punti ottenuti, saranno conquistati al Via del Mare che rimase imbattuto fino alla 27^ giornata, quando il Lecce di Mazzone fu sconfitto dalla sua amata Roma per 2 – 0.

La salvezza arrivò per un solo punto sull’Udinese di Rino Marchesi. Mazzone era riuscito a salvare il Lecce per il secondo anno consecutivo.

A fine campionato, però, dopo 4 anni fantastici, sor Carletto decise di cambiare aria e accettò la proposta del Pescara in serie B, scendendo di categoria. Sarebbe stato esonerato e sostituito alla 13^ giornata da Giovanni Galeone. Poco male. Da quel punto in poi Mazzone avrebbe continuato ad allenare solo in serie A.

Era finito un ciclo e adesso, per affrontare la stagione ’90 – ’91, bisognava cambiare un po’ di cose. La novità più eclatante fu l’addio di Beto Barbas, l’asso argentino, dopo 5 stagioni a Lecce, passava la mano non rientrando nella visione di gioco del nuovo tecnico.

Dopo Mazzone era difficile scegliere un degno successore. Lo sguardo del direttore sportivo si posò su un giovanissimo allenatore che aveva da poco smesso di giocare: Zbigniew Boniek, travolgente attaccante di Juventus e Roma e capitano storico della nazionale polacca. A differenza di Mazzone, Boniek non avrebbe avuto le stesse fortune da tecnico. A dispetto della sua strepitosa e lunga carriera da giocatore, quella di allenatore non sarebbe stata né lunga né strepitosa. Ci troviamo dinanzi a quella strana parabola del calcio secondo la quale chi era stato un grande calciatore (nel caso di Boniek addirittura un campione) non sarebbe stato poi altrettanto grande come mister. Ogni tanto questa diceria ci azzeccava.

Il Lecce di Boniek sul piano del gioco era una delle realtà più belle di quell’anno. Lo spettacolo non mancava, la lungimiranza e la concretezza sì. Nonostante l’arrivo di un giocatore straniero quasi fenomenale come il brasiliano Mazinho, il Lecce non sembrava all’altezza di quello dell’anno precedente.

Fra le novità c’era anche Sergeij Alejnikov proveniente dalla Juventus, ma era Mazinho l’uomo che incantava i tifosi e gli intenditori. Secondo qualche esperto di pallone, il più forte giocatore straniero che il Lecce abbia mai avuto.

Pur tuttavia, alla fine, il Lecce di Boniek ripiegò verso la serie B, nell’anno in cui il Genoa di Osvaldo Bagnoli raggiungeva la zona Uefa con un meraviglioso quarto posto in campionato.

Dopo tre stagioni di A, si doveva ricominciare tutto da capo

A Lecce il calcio era una passione fortissima, ma erano forti anche le tentazioni. Cioè quella tendenza a lasciarsi prendere troppo la mano dagli eventi. I tifosi si erano abituati bene e dover rifare adesso la serie B sembrava quasi roba da sfigati. Forse fu anche per questo motivo che per la stagione ’91 – ’92 la presidenza Jurlano decise di puntare su un tecnico di categoria superiore, almeno per le credenziali, e di offrire quindi un bell’ingaggio all’allenatore del Napoli Albertino Bigon.

Il nuovo tecnico appena due anni prima aveva vinto lo scudetto con i partenopei e la sua discesa in B a Lecce significava una sola cosa: obiettivo immediato serie A. E infatti l’avvio di campionato fu travolgente con tre vittorie consecutive e il Lecce che prendeva il largo in classifica al fianco del forte Pescara. Poi partita dopo partita affiorarono sbavature e cali di rendimento.

Le novità in organico furono l’arrivo dal Bologna del coriaceo difensore Rosario Biondo e del centrocampista dal tiro potente Giampaolo Ceramicola, più l’attaccante Paolo Baldieri, capace di 10 segnature. Il miglior goleador stagionale del Lecce in quell’anno. Bigon in realtà trovò una squadra dai meccanismi oliati, ma senza una personalità, dove il vero leader in campo era ormai Checco Moriero, titolarissimo fantasista e abile cannoniere.

Nel mercato autunnale, intanto, si faceva strada l’occasione della vita per un’altra giovane promessa del calcio leccese, il centrocampista Antonio Conte, chiamato dalla Juventus. La Vecchia Signora bianconera per Conte non era solo la squadra italiana più importante, ma anche la sua squadra del cuore, fin da bambino.

Fu il presidente Boniperti in persona a telefonare a casa Conte, facendosi passare la mamma di Antonio, tranquillizzandola sull’accoglienza che avrebbe avuto il figlio nella Juventus. Si racconta poi che lo stesso Gianni Agnelli ebbe modo di esprimere il suo compiacimento per la venuta di Antonio Conte a Torino, assicurandolo che si sarebbe trovato benissimo e che il terreno per lui era stato già preparato anni prima da Causio, Brio e Bruno, tutti juventini leccesi.

Il Lecce vendeva per la simpatica cifra di 7 miliardi di lire un gioiello di famiglia, mentre il suo campionato altalenava pericolosamente. Il pericolo era quello di non riuscire nella promozione in A.

Verso la fine del girone d’andata due preoccupanti sconfitte casalinghe portarono all’esonero di Bigon, il quale fu sostituito da una vecchia conoscenza del Lecce, il leccese Aldo Sensibile, già vice allenatore dei giallorossi per due stagioni dal ‘75 al ’77, quando la panchina era guidata da Mimmo Renna.

Ma un Lecce evidentemente tramortito non rispose ad alcun comando, e dopo quattro sconfitte e due soli pareggi, la dirigenza pensò di richiamare Bigon. La manfrina servì a rimettere in piedi qualcosa di quella squadra che avrebbe dovuto raggiungere la promozione e alla fine il Lecce chiuse a metà classifica, sanza ‘nfamia e sanza lode.

La delusione fu grande. Per la prima volta dalla curve cominciarono a piovere, con fragore, insulti e cori contro la dirigenza. Il Lecce doveva riprovarci, ma le aspirazioni sembravano superiori alle possibilità.

Dopo 16 anni la presidenza Jurlano doveva fare i conti con un pizzico di stanchezza, ma l’imprevedibile coppia Jurlano-Cataldo non si diede per vinta e decise di puntare alla terza promozione in A nel ’92 – ’93.

La prima novità fu l’allenatore. Un maestro della serie B, un professionista delle promozioni: Bruno Bolchi. Il nuovo tecnico arrivava da una stagione non felicissima ad Avellino, chiusa in anticipo per via di un esonero che non bastò a salvare la tana dei lupi dal crollo. Bolchi venne a Lecce come si va ad una vacanza, senza troppi indugi, ma senza troppe pretese. La squadra era una gruviera. Un fritto misto o un capolavoro di assemblaggio. Che alla fine si rivelerà vincente.

“Maciste” forgiò un gruppo di giovani, giunti per lo più in prestito, a sua immagine e somiglianza, forti e determinati.

La stagione sarà ricordata per i gol di Antonio Rizzolo, proveniente dal Palermo, detto Rizzogol perché specializzato nell’entrata in campo dalla panchina e nella messa a rete della palla. 9 gol e tanta gloria per lui. Altre perle memorabili erano Gabriele Grossi, Renato Olive, Pierluigi Orlandini, Alessio Scarchilli e Giampiero Maini.

Bolchi, già autore di una storica promozione alla guida degli odiati cugini del Bari nel 1985, portava in A un’altra pugliese, ma differentemente dall’esperienza barese decise di non fermarsi anche in serie A, preferendo la proposta del Cesena in serie B.

Dal nostro racconto, avete potuto verificare come spesso, in quegli anni, gli allenatori non facessero questione di categoria, ma di progetti e proposte, considerando quasi sempre ad un livello osmotico la serie A, la serie B e talvolta anche la serie C1. Oggi un fatto del genere è quasi impensabile. Gli allenatori sembrano separati da gironi infernali incomunicabili.

Con la promozione in A del ’93 la dirigenza Jurlano aveva dato il massimo, di più non era proprio possibile e gli attenti osservatori si accorsero fin dalla campagna acquisti che la serie A sarebbe stata un Purgatorio.  Forse però nessuno arrivò a scommettere che il Lecce avrebbe battuto tutti i record negativi di retrocessione per numero di punti. Appena 11, quelli che il Milan di Fabio Capello avrebbe fatto nelle prime sei giornate.

L’allenatore a cui affidare la carcassa del formidabile Lecce dell’anno prima era Nedo Sonetti, il tecnico di Piombino era rimasto fermo un anno e l’idea di rientrare subito in serie A lo colse d’un tratto. Poi, dopo le prime 5 giornate e le rispettive 5 sconfitte, l’allenatore, maestro di promozioni dalla B alla A, si accorse dell’impresa impossibile e si vide esonerato dopo l’undicesima giornata per fare spazio a Rino Marchesi che l’anno prima in serie B aveva avuto una fugace apparizione sulla panchina della SPAL, poi retrocessa. Marchesi era già da qualche anno in discesa dal punto di vista dei risultati, ma la retrocessione di quell’anno pose fine irrevocabilmente alla sua carriera. Sonetti, invece, lo avremmo ritrovato anni dopo, ma in una realtà completamente diversa.

Di quella stagione ‘93 – ’94, non c’è quasi nulla da raccontare se non sconfitte su sconfitte. Saranno 26 alla fine, mentre le vittorie solo 3.

Il giocattolo si era rotto, il Lecce tornava in B come un treno, ma la corsa pazza all’indietro non si sarebbe arrestata. La doppia retrocessione in due anni lo avrebbe condannato alla serie C e ad un salto nel tempo di vent’anni.

Ma questa è storia della prossima volta, questa è storia della nostra sesta puntata.



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