La quarta puntata della storia del Lecce Calcio è forse la più avvincente. Dopo essere tornato mestamente in B nel 1986, il club prepara il ritorno nella massima serie e lo ottiene nel 1988, grazie all’allenatore professionalmente più longevo del calcio italiano: Carlo Mazzone. Sor Carletto ottiene la promozione e salva per la prima volta i giallorossi in serie A. Saranno 4 stagioni gloriose con tanto di record per un allenatore sulla panchina del Lecce. Alla fine saranno 116. Buona lettura…
Le imprese di Eugenio Fascetti a Lecce lo avevano ormai consegnato all’olimpo del calcio in Italia. Dopo la retrocessione dell’86 il mister vede consacrato il suo lavoro dalla chiamata della Lazio. Gli aquilotti romani si trovano in serie B alle prese con una terrificante penalizzazione che pone seriamente a rischio il mantenimento della categoria. Tuttavia Fascetti ce la farà e la sua Lazio, partita da meno nove punti, alla fine centrerà la salvezza.
Ma se Fascetti cresceva nel ranking nazionale anche il Lecce non voleva essere da meno e per l’occasione la coppia Jurlano-Cataldo decise di riprendere un tecnico che aveva fatto cose importanti a Lecce nella stagione 78 – 79 e cioè Pietro Santin, proveniente dal Catanzaro, ma appiedato a metà stagione per via dell’andamento negativo della squadra che alla fine sarebbe retrocessa comunque in serie C1.
Ancora una volta un allenatore di categoria, un tecnico che aveva fatto un ottimo lavoro, qualche anno prima, con la Cavese. Ma l’allenatore, nonostante il Lecce avesse una squadra più che attrezzata, non riuscì a far esprimere i giocatori a livello delle loro reali potenzialità.
Arrivò dall’Avellino il fortissimo centrocampista Andrea Agostinelli e dal Foggia Ennio Mastalli, mentre fece il suo esordio in serie B il giovanissimo Checco Moriero, figlio di un vivaio che avrebbe scritto pagine gloriose della storia del Lecce negli anni a venire.
Moriero, infatti, faceva parte di una nidiata di assi in ascesa: Antonio Conte, Gigi Garzya, Gianluca Petrachi, Sandro Morello, alcuni dei quali avevano già fatto il loro esordio in serie A l’anno prima. Conte per esempio esordì all’età di 16 anni. Nel suo caso si tratta, precisamente, del leccese più titolato di tutti i tempi, anche più di Mimmo Renna, Franco Causio e Sergio Brio. Certamente quello che avrebbe avuto una carriera come nessun altro e che, vent’anni dopo, sarebbe diventato uno degli allenatori più bravi al mondo.
Il fatto che Conte non abbia avuto un buon rapporto con la tifoseria leccese è un dato certamente significativo, ma secondario rispetto ai successi e alla carriera che Antonio ha avuto negli anni e che, carte alla mano, fanno di lui il più grande calciatore-allenatore leccese della Storia.
Tornando al Lecce di Santin, invece, la gloria e i successi sembravano rimandati a data da destinarsi.
Il girone d’andata fu buono, con 22 punti conquistati, come il Genoa di Attilio Perotti e una posizione di alta classifica in zona serie A, dietro alla Cremonese dell’ex Bruno Mazzia e al Pescara di Giovanni Galeone (che poi avrebbe vinto il Campionato). Ma l’inizio del girone di ritorno fu disastroso, appena 6 punti in 9 partite. Nemmeno una media salvezza, figuriamoci la presunzione di andare in A. Sembrò di perdere il treno, e fu allora, dopo le due sconfitte consecutive, in casa con il Taranto e a San Benedetto del Tronto, che la panchina di Santin saltò. Ci voleva un allenatore capace di riaprire il discorso promozione che sembrava ormai chiuso.
C’era un allenatore libero quell’anno, a spasso, come si dice in gergo, che rispondeva alle caratteristiche del nuovo tecnico cercato da Jurlano. Quel tecnico si chiamava Carlo Mazzone. Nel calcio, come nella vita di ogni giorno, ci sono tante cose inspiegabili, una di queste era la disponibilità di Carlo Mazzone in quella stagione, nel senso che Mazzone non aveva trovato nessuna squadra quell’anno, nonostante un buon campionato l’anno prima alla guida del Bologna in serie B.
Ma non è questo il punto di discussione. Il punto riguarda la caratura di Mazzone, un allenatore che aveva fatto fino ad allora molta più serie A che serie B e che aveva ottenuto successi storici con l’Ascoli e il Catanzaro. Mazzone era stato l’allenatore della prima promozione in B dell’Ascoli nel 1972 e della prima promozione in A dei marchigiani due anni dopo nel ’74; poi aveva allenato l’Ascoli anche in serie A e l’aveva salvato. Dopo di che arrivò la chiamata di un grosso club di serie A, la Fiorentina. E poi fu la volta del Catanzaro, appena promosso in serie A nel ’78. Il tecnico romano riuscì a salvare i calabresi per due stagioni consecutive, prima di tornare a furor di popolo ad Ascoli dove era considerato un eroe. Quattro salvezze con i ducali e poi un esonero, il primo della carriera, che non valse la pena per i biancazzurri che retrocessero comunque con Mario Colautti in panchina.
E allora si può lasciare disoccupato un allenatore così? Certo che no, e infatti non accadrà più a Mazzone, fino al suo ritiro dalle scene nel 2006. Aggiungiamo che Carlo Mazzone ha detenuto il record di panchine (795) fra gli allenatori nel campionato italiano di serie A e che nessuno come lui aveva allenato ben 28 stagioni in massima divisione. Tutto questo per rappresentare al meglio il significato dell’arrivo di Carletto nel Salento. Insomma, per la prima volta il Lecce ingaggiava un allenatore di categoria superiore. A quella categoria superiore bisognava, infatti, tornare. Ma non subito.
Alla prima uscita sulla panchina del Lecce, Mazzone deve affrontare al Via del Mare il Parma di Arrigo Sacchi. Sacchi è un giovane allenatore che sta facendo un bellissimo campionato e che, a parte la scoppola rimediata dal Taranto di Mimmo Renna (3-0 ) alla sesta giornata, aveva concesso poco o nulla. Il Parma giocava così bene che il presidente del Milan Silvio Berlusconi se ne innamorò quell’anno e lo prese per guidare la sua squadra che, guarda caso, l’anno dopo, vinse lo scudetto. Ma Mazzone non temeva nessuno e così riscatta subito le due sconfitte consecutive e vince contro gli emiliani 1–0.
Mazzone aveva esordito con una vittoria, l’aria ricominciava a profumare, un profumo che i leccesi avrebbero sentito anche sette giorni dopo ad Arezzo con un’altra vittoria. Alla fine del campionato il Lecce avrebbe scalato le posizioni di vertice tanto da agguantare il Cesena di Bruno Bolchi e la Cremonese di Mazzia a 43 punti al terzo posto, dietro Pescara e Pisa, promosse in A con 44 punti.
Tre squadre terze e un unico posto in palio. Ci vogliono gli spareggi, e agli spareggi si arriva con la tipica determinazioni di Mazzone, pronti a combattere contro due protagoniste indiscusse. In particolare la Cremonese, che dopo aver dominato per tutto il campionato si era persa un po’ nel finale. Invece con la Cremonese andò bene, con il Lecce che si impose per 4 – 1. Fu col Cesena, invece, che il Lecce abbandonò i sogni di promozione. Al pareggio per 0 – 0 in Romagna, seguì uno spareggio decisivo per stabilire chi delle due (entrambe vittoriose sulla Cremonese) avrebbe meritato la serie A. A San Benedetto del Tronto l’8 luglio 1987, toccò al Cesena la gioia della vittoria e quindi il posto in prima fila per la serie A.
Il Lecce doveva ricominciare e aspettare l’anno successivo, ma questa volta si partiva dall’inizio col comandante Mazzone.
Se il Lecce avesse avuto più costanza nei risultati nella stagione 86 – 87 la serie A non sarebbe sfuggita e invece bisognava attendere un altro anno. Mazzone impostò la squadra con il suo schema caratteristico, votato all’attacco, fino al mantenimento dello stesso, quando la squadra era chiamata a contenere fino allo stremo, con rischio infarto per i tifosi sugli spalti.
Tra i reparti è rivoluzione. Arrivano Limido, Parpiglia, Vincenzi e il portiere Braglia, sostituito a gennaio da Giuliano Terraneo, portierone 35enne, noto a livello nazionale per essere stato una certezza della porta del Milan e del Torino. Secondo molti Terraneo è stato il più forte portiere che il Lecce abbia mai avuto. Con lui sicuramente si inaugura la stagione dei grandi portieri, durata poi più di vent’anni.
Ma il pezzo pregiato quell’anno era stato Marco Baroni, 24enne stopper-regista proveniente dalla Roma. Il Lecce cominciava a fare la grande squadra e alla fine ottenne la più meritata delle promozioni, con un magnifico secondo posto a due punti dal Bologna campione di Gigi Maifredi.
Con Carlo Mazzone divenne pilastro del gioco il leccese Francesco Moriero che si mise in luce prima di spiccare il volo verso squadre più blasonate, negli anni novanta.
La stagione 88-89 fu quella del Lecce neo promosso che fece tremare anche le grandi. Mazzone costruì un campionato perfetto fino a raggiungere una lussuosa salvezza che vide il Lecce chiudere nella cosiddetta parte sinistra del tabellone della classifica. Una salvezza costruita in casa.
Al Via del Mare era quasi impossibile passare. Se ne accorse anche il Milan, campione in carica, di Arrigo Sacchi. La Juve uscì addirittura tramortita e con le ossa rotte da un sonoro 2-0.
Il finale di campionato fu al cardiopalmo, con il Lecce vittorioso all’ultima giornata sul Torino, condannato ad un mesto e storico ritorno in serie B. Breve mala sorte per i granata che l’anno dopo si sarebbero affidati ad un certo Eugenio Fascetti per un pronto riscatto e un immediato ritorno in serie A e con tanto di vittoria del campionato cadetto.
Carlo Mazzone aveva regalato al Lecce la sua prima salvezza in serie A e quello che ancora oggi è il miglior posizionamento della storia calcistica leccese. La nona posizione nella massima serie. Ce ne era a sufficienza per far diventare sor Carletto un’icona dei lupi giallorossi.
Mazzone a Lecce realizzò un’impresa così impressionante che contribuì a farlo diventare uno dei tecnici più apprezzati in Italia e più amati dai leccesi, insieme a Renna e Fascetti e prima di Cavasin e Zeman che sarebbero arrivati molto dopo.
Adesso si continua con la serie A. Il mondo stava cambiando…