Espressioni blasfeme in panchina. La Chiesa assolve mister Franco Lerda

Franco Lerda si è¨ baccato una bella squalifica dal Giudice Sportivo per aver proferito frasi blasfeme nel corso del big-match contro il Benevento. Dal punto di vista religioso, quanto un fatto del genere, puramente istintivo, puè² essere considerato

Lecce. L’allenatore del Lecce, Franco Lerda, è stato squalificato dal Giudice Sportivo per aver proferito frasi blasfeme nel corso della semifinale di andata dei Play Off contro il Benevento. Dal punto di vista religioso, quanto un fatto del genere, puramente istintivo, può essere considerato “peccato”? La redazione di Leccenews24.it ha contattato Don Attilio Mesagne, Direttore della Caritas Diocesana, per avere delucidazioni a riguardo

Spesso non lo si fa per imprecare contro il padre eterno, anzi, la bestemmia cela addirittura una invocazione d’aiuto da parte dell’Altissimo. Eppure, ciò che dovrebbe giudicare la giustizia divina, oggi viene analizzato anche da quella umana; e nel caso che riguarda Mister Franco Lerda – squalificato a causa di frasi blasfeme pronunciate durante il match Benevento-Lecce – anche dal Giudice Sportivo. Tendenzialmente, questo sarebbe un “terreno di gioco” sul quale è bene che sia la Chiesa a pronunciare i suoi verdetti; invece, oggigiorno, è oggetto di valutazione persino dell’uomo. Laddove i limiti dell’essere umano appaiono circoscritti, ecco intervenire il perdono. Una facoltà che gli abitanti della terra conoscono, ma di cui non se ne fa buon uso. O meglio, non se ne fa uso quasi per niente.

Prendendo spunto dall’episodio che ha visto protagonista lo sfortunato tecnico di Fossano e incalzati da molti tifosi, allarmati dall’assenza di Lerda in una gara crocevia della stagione giallorossa, la redazione di Leccenews24.it ha voluto approfondire l’argomento contattando telefonicamente il Direttore della Caritas Diocesana di Lecce, Don Attilio Mesagne. Perché un conto è ciò che avrebbero voluto cittadini leccesi, amanti viscerali dei colori giallorossi, pronti subito a chiudere un occhio di fronte all’imprecazione. Un altro è la sensibilità di chi, magari, non animato da spirito calcistico, davanti ad una parola tutt’altro che “leggera” può sentirsi infastidito. Attenzione, però. Bisogna ammettere che la religione cristiana è meno “bacchettona” di quanto si pensi: «Dispiace che il mister non potrà prender parte alla gara – riferisce Don Attilio – ma è bene specificare un punto che in pochi conoscono. Per compiere un peccato servono tre condizioni. La piena avvertenza, il deliberato consenso e la materia grave. Quando viene a mancare una di queste prerogative non c’è nemmeno bisogno di confessarsi».

Morale della favola, l’allenatore del Lecce non ha commesso peccato, almeno secondo i canoni ecclesiastici delucidatici da Don Attilio. «Di certo esiste la “materia grave”, sebbene sia stata sollecitata da un forte condizionamento durante la partita di calcio. Semplicemente, gli è scappata in maniera istintiva». «Spesso bisogna anche guardare alla causa del problema – prosegue Don Attilio – pensiamo, ad esempio, ad una persona che muore di fame, che è senza lavoro, che deve procacciare cibo per la sua famiglia e, trovandosi di fronte un vigneto, afferra un grappolo d’uva. Il proprietario, vedendolo, denuncerà il fatto e la giustizia umana farà il suo corso. Eppure mangiare è un’azione istintiva, derivante dal desiderio di nutrirsi. Purtroppo è questo che differenzia la giustizia divina da quella umana». «Pensiamo infatti alle parole di Papa Francesco quando dice “non bacchettate” le persone durante le confessioni, ma ascoltatele e siate misericordiosi».