Pasqua si festeggia anche a tavola con i piatti della tradizione. Nei giorni di festa non può mancare l’agnello di pasta di mandorla, i quaresimali, i biscotti da inzuppare nel latte o per accompagnare un bicchiere di vino ‘concessi’ durante il periodo di digiuno o la Cuddhura, un tarallo intrecciato con un uovo al centro, mantenuto fermo da strisce di pasta. Un tempo, questo pane dolce o salato, dai tanti nomi, che cambiano da comune a comune, veniva regalato alle persone care. Un gesto di affetto che poteva avere tante forme diverse: un cuore, una colomba, una bambola, una campana, un cestino. «Lu caddhuzzu», a forma di gallo, era un cadeau per gli uomini, come simbolo di forza e virilità. La «Pupa» (bambola) veniva donata alle giovani donne in segno di bellezza e fertilità. «Lu core», il cuore, era il regalo dei fidanzati, come gesto d’amore. «Lu Panareddhu» (il cestino) veniva donato per augurare abbondanza.
Insomma, la Puddhica, come veniva chiamata nel leccese, non era solo il dolce di Pasqua, entrato a far parte della tradizione gastronomica locale e consumato il Sabato Santo, quando il suono delle campane annunciava la Resurrezione. La Cuddhura – dal greco κουλλούρα, couloúra o coulloúra (in greco antico κολλύρα, kollýra) ossia ‘rotondo’ o ‘spirale’ o dal bizantino kollùra – è una ricetta ricca di simboli, storia e amore.
Oggi, questo pane preparato con ingredienti semplici e genuini (farina, olio e uova) è tornato sulle tavole delle famiglie del sud, ma anche su chi è lontano e vuole mantenere vive le tradizioni, come fa da sempre il Salento in Svizzera, il gruppo Facebook di Biancarosa Urso che con passione racconta a chi non lo conosce cosa è il Salento, non solo quello «del sole, del mare e del vento», delle bellezze di spiagge e borghi, ma anche quello ricco di fascino, il Salento dei riti e delle usanze che affascinano ancora.
