Già servivano a poco, erano prive delle deleghe necessarie, non avevano risorse per incidere sullo sviluppo del territorio, adesso che le hanno ridotte a enti di secondo livello (come se il primo fosse stato gratificante) certamente non hanno più nulla da dire, eppure nel dibattito politico locale l’argomento del rinnovo di “ciò che resta delle Province” sembra essere il più seguito. Come a dire che il moribondo fa parlare di sé più da morto che da vivo. Un’apparente contraddizione ma in perfetto stile italico.
Sappiamo che le Province non hanno voce in capitolo, che la loro azione governativa è diventata residuale eppure ci si appassiona al rinnovo delle cariche. I cittadini non fanno più parte del gioco, la partita se la fanno fra di loro i sopravvissuti della politica che sperano di rimanere agganciati al treno di qualche intramontabile istituzione. Ma a noi che ce ne importa?
Che ce ne importa se la Provincia non può fare le scelte e assumere i provvedimenti che servono sul fronte lavoro e occupazione, che ce ne importa della ordinaria amministrazione, quando qui ci sarebbe bisogno di miracoli e magie di governo, che ce ne importa di un tozzo di pane, quando stiamo perdendo i sistemi produttivi?
La Provincia, che nessuno voleva, vede adesso tutti impegnati in una campagna elettorale per capire chi sarà il Presidente. Ma il Presidente di cosa? Di un ente inutile, di un panno sdrucito, di un piatto freddo, di una casa caduta.
Come vorremmo andare avanti con le similitudini e le immagini allegoriche, ma si è fatto tardi e dobbiamo andare a scrivere un articolo su chi vincerà tra Gabellone e Manera. Un vincitore che chiameremo Pirro.