Dall’esame del DNA scopre che non era suo figlio e non paga gli alimenti, ma il tribunale lo condanna

Un operaio 55enne dell’hinterland di Casarano risponde dell’accusa di ‘violazione degli obblighi di assistenza parentale’ ed è stata respinta la richiesta di revisione del processo. Dall’esame del DNA è emerso che il bambino non era suo.

Condannato per non aver pagato gli alimenti al bambino, pur avendolo disconosciuto fin da subito, chiedendo la prova del Dna. Un operaio 55enne dell'hinterland di Casarano risponde dell'accusa di "violazione degli obblighi di assistenza parentale" e nei giorni scorsi è stata respinta la richiesta di revisione del processo. Dunque, resta la condanna a 6 mesi (seppur con sospensione della pena e non menzione nel casellario giudiziario), il pagamento di 100 euro di multa e delle spese processuali.
 
L'imputato, in realtà, avrebbe provveduto al sostentamento del bambino per i primi nove anni, ma poi, convinto del fatto che non fosse suo figlio smise di farlo. L'operaio riteneva che la futura moglie l'avesse concepito prima del matrimonio (i due si erano sposati nell'aprile del 1994) con un altro uomo e vi era stato da parte della donna il "celamento" della gravidanza e l'avvenuto adulterio.
Anche perché lui è un cattolico fervente e non avrebbe acconsentito a rapporti sessuali prima del matrimonio.
 
Ad ogni modo, il bambino nacque nel dicembre dello stesso anno. La moglie, invece, sosteneva che lui sapeva tutto e che erano stati  insieme dal ginecologo, dove lui avrebbe manifestato gioia per la nascita del figlio. Solo in seguito, secondo la donna, egli avrebbe nutrito dubbi sulla paternità, cominciando a privare  il piccolo dei mezzi di sostentamento. Dunque, la moglie nell'agosto del 1994  presentò ricorso di "separazione giudiziale", non opponendosi all'esame ematologico e genetico.
 
In tutti questi anni si sono susseguiti una serie di processi e ricorsi sia in sede penale che civile. Anzitutto una sentenza di primo grado innanzi al Tribunale Penale che, come detto in precedenza, condannava l'operaio a 6 mesi di reclusione per "violazione degli obblighi di assistenza parentale". Nonostante, come ritiene il suo avvocato difensore, fin dall'inizio del processo ci fosse una pregiudiziale in sede civile, pendente in Cassazione.
 
Era infatti stata disposta la sospensione del processo penale già in primo grado ( in attesa della definizione del giudizio civile) per il "disconoscimento" richiesto dall'imputato 17 anni fa. Nel febbraio del 2004, però, la Corte di Appello confermava la sentenza, non accogliendo la richiesta di effettuare l'esame del Dna, "poiché la prova del celamento doveva essere data autonomamente, prescindendo dalla prova genetico ematologica che non poteva risolversi in un mezzo meramente esplorativo". La Corte riteneva "arbitrario" l'assunto dell'operaio, che il concepimento fosse avvenuto prima di matrimonio.
 
La Cassazione della prima sezione civile, invece, nel maggio del 2008 annullava la sentenza di Appello, con rinvio alla stessa Corte, ma in diversa composizione, per acquisire la prova del Dna. La Procura disponeva una consulenza tecnica ed all'esito degli esami effettuati dopo un prelievo di campioni di saliva e sangue, il medico affermava nella relazione "il rapporto di paternità era da considerarsi escluso, perché i risultati indicavano nove incompatibilità genetiche tra padre e figlio" .Il bambino presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno, incompatibili con quelle del presunto padre".
 
Nel dicembre del 2011, la Corte di appello, sezione promiscua, accoglieva la sentenza della Cassazione  e riconosceva che l'operaio non era il padre di quel bambino. Inoltre, ordinava al Comune di residenza dell'operaio di provvedere alla necessaria annotazione, a margine dell'atto di nascita.
 
Nonostante ciò, la Corte di Appello Penale di Potenza respingeva pochi giorni fa, la richiesta di revisione del processo e il proscioglimento dell'imputato.  I giudici affermano che l'operaio aveva diritto a non pagare gli alimenti, solo a partire dal dicembre del 2011, cioè da quando la sentenza della Corte di Appello era diventata definitiva. I giudici avrebbero richiamato una sentenza della Cassazione (a sua volta citata dai giudici di Appello, nel febbraio del 2004), che disporrebbe il mantenimento del figlio, fino a quando non venga emessa una sentenza definitiva che sancisca la paternità di un altra persona.
 
Il difensore dell'operaio ha, invece, sottolineato come il proprio assistito avesse fin dal primo processo, chiesto il disconoscimento del figlio, richiedendo l'esame del Dna. Istanza, prima negata dalla Corte di Appello e accolta tardivamente, solo grazie ad un ricorso in Cassazione e ad un successivo processo di Appello.



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