Morte bracciante: Mutti e Conserve Italia parte civile? La Procura si oppone

In mattinata si è svolta l’udienza preliminare,  ma il gip Giovanni Gallo non ha sciolto le riserve. Sul banco degli imputati, due persone che rispondono delle accuse di caporalato e omicidio colposo per la morte di Mohammed Abdullah, 49enne originario del Sudan.

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Si è svolta, in mattinata, l’udienza preliminare relativa all’inchiesta sulla morte del bracciante sudanese, avvenuta 20 luglio 2015, nelle campagne tra Nardò e Avetrana.

La moglie e i figli della vittima, la Cigl, la Cidu (Centro Internazionale Diritti Umani) hanno chiesto di costituirsi parte civile. Sono assistiti dagli avvocati Cinzia Vaglio, Viola Messa, Paolo D’Amico e Cosimo Castrignanò. Non solo, anche la Mutti e Conserve Italia (collegata alla Cirio), difese dai legali Anna Grazia Maraschio e Vincenzo Muscatiello, ma in questo caso il pm Paola Guglielmi si è opposta, ritenendo che i presunti danni patiti non sarebbero una diretta conseguenza dei reati contestati.

La decisione spetterà comunque al Gup Giovanni Gallo che scioglierà le riserve il 28 febbraio prossimo. Quel giorno, il giudice, dopo la discussione delle parti, deciderà sull’eventuale rinvio a giudizio di Giuseppe Mariano, 80 anni, di Porto Cesareo, marito della titolare dell’azienda agricola presso cui lavorava Mohammed Abdullah come lavoratore stagionale, e Mohamed Elsalih, 39enne originario del Sudan, che avrebbe svolto il ruolo di mediatore negli arrivi in Salento dei braccianti.

Gli imputati rispondono delle accuse di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) e omicidio colposo per la morte di Mohammed Abdullah, 49enne originario del Sudan. Sono assistiti rispettivamente dagli avvocati Antonio Romano e Ivana Quarta (sostituita oggi in udienza dall’avvocato Giuseppe Sessa).

Le indagini

Le indagini si sono avvalse della consulenza dell’ingegnere Claudio Leone, sui contatti telefonici del mediatore senegalese. Ricordiamo che, nei mesi scorsi, nella sua abitazione gli investigatori hanno trovato, oltre ad un passaporto con firma del 12 luglio (su cui si nutrono parecchi dubbi) anche schede e documenti riconducibili alla sua presunta attività di mediazione. Le indagini sono state condotte dai carabinieri del Ros e dagli ispettori dello Spesal che in tutti questi mesi hanno effettuato numerosi sopralluoghi nelle campagne di Nardò e nella località “masseria Boncuri”, sentendo datori di lavoro, braccianti e semplici testimoni.
I militari hanno cercato di ricostruire anche la cosiddetta “filiera”. Dunque, hanno svolto nel corso delle indagini, accurati accertamenti per verificare la destinazione finale del prodotto.Si è provveduto all’acquisizione documentale di bolle di accompagnamento e fatture per il trasporto delle merci. I pomodori erano destinati ad importanti imprenditori attivi nell’industria conserviera, sia in Puglia che in altre Regioni italiane. Al termine degli accertamenti, occorre sottolineare, non sarebbe però emersa da parte di questi imprenditori, alcuna consapevolezza delle condizioni di lavoro disumane dei braccianti agricoli, impegnati nella raccolta dei pomodori.

L’episodio

Mohammed Abdullah, 47enne originario del Sudan è morto intorno alle 14.00 del pomeriggio del 20 luglio 2015, nelle campagne tra Nardò e Avetrana, orario in cui la colonnina di mercurio segnava una temperatura prossima ai 40 gradi: il bracciante, un lavoratore stagionale impegnato nella raccolta dei pomodori, ha avvertito un malore ed i colleghi di lavoro lo hanno immediatamente messo al riparo sotto un albero, affinché non rimanesse sotto i raggi del sole.

Quando i sanitari del 118 sono arrivati sul luogo il cittadino sudanese era già deceduto e secondo quando stabilito dai medici, la morte è stata causata da un infarto, come confermò l’autopsia del medico legale Roberto Vaglio.

Richiesta di archiviazione

Il pm Guglielmi ha, invece, chiesto l’archiviazione del procedimento per Rita De Rubertis, la titolare dell’azienda, iscritta nel registro degli indagati per omicidio colposo. Non solo, anche per un avvocato (rispondeva dell’ipotesi di reato di esercizio abusivo della professione) e un funzionario della segreteria dell’Ordine (l’accusa era di interruzione di pubblico servizio). Il primo, nominato di ufficio in vista dell’autopsia , non avrebbe comunicato tempestivamente non esercitare più la professione; il secondo, non avrebbe aggiornato gli elenchi dell’Ordine. Le accuse sono “cadute” in seguito ad accertamenti investigativi.



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