La Procura di Lecce ‘presenta il conto’ ai due imputati accusati della morte di un bracciante sudanese. Il pm Francesca Miglietta, al termine della requisitoria, ha invocato complessivamente 23 anni di reclusione. Il processo si sta celebrando dinanzi ai giudici della Corte d’Assise (presidente Pietro Baffa, a latere Maria Francesca Mariano e giudici popolari). Sul banco degli imputati compaiono: Giuseppe Mariano, 83 anni, di Porto Cesareo, marito della titolare dell’azienda agricola e Mohamed Elsalih, 42enne originario del Sudan, che avrebbe svolto il ruolo di mediatore per gli arrivi in Salento dei braccianti.
Nello specifico il pm ha chiesto la condanna per ciascuno a 9 anni per riduzione in schiavitù ed a 2 anni e 6 mesi per omicidio colposo. Ed ha ricostruito i fatti, sottolineando come i lavoratori fossero costretti a lavorare in condizioni di assoluto sfruttamento, con una “mortificazione” della persona umana. E ciò avrebbe certamente influito sul decesso di Mohammed Abdullah, 47enne, lavoratore stagionale originario del Sudan, che soffriva di una grave forma di polmonite.
Nella prossima udienza fissata per 10 novembre discuteranno gli avvocati difensori dei due imputati e verrà emessa la sentenza.
Erano accusati originariamente di “caporalato”. Nel corso di un precedente processo però, dinanzi al giudice monocratico, il pm Paola Guglielmi, titolare dell’inchiesta, aveva presentato la modifica dell’originario capo d’imputazione, riqualificando il reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) in quello di “riduzione in schiavitù”. Già in una precedente udienza, il giudice aveva sollevato dei dubbi sulla “competenza” del tribunale monocratico, chiedendo di valutare altre accuse per il decesso di Mohammed Abdullah.
Secondo la nuova ipotesi accusatoria formulata dal pm Guglielmi, i due “riducevano e mantenevano numerosi cittadini extracomunitari di nazionalità prevalentemente sudanese, in stato di soggezione continuativa, condizione analoga alla schiavitù, costringendoli a prestazioni lavorative nei campi in condizioni di assoluto sfruttamento”.
Gli imputati sono assistiti rispettivamente dagli avvocati Antonio Romano e Ivana Quarta (sostituita oggi in udienza dall’avvocato Giuseppe Sessa).
Inoltre, si sono già costituiti parte civile, per la moglie e i figli della vittima, la Cgil ed il Cidu (Centro Internazionale Diritti Umani). Sono assistiti dagli avvocati Cinzia Vaglio, Viola Messa, Paolo D’Amicoe Cosimo Castrignanò. Non solo, anche le aziende Mutti e Conserve Italia (collegata alla Cirio), difese dai legali Anna Grazia Maraschio, Raffaele Di Staso e Vincenzo Muscatiello.
Nel corso della discussione in aula, le parti civili hanno invocato un maxi risarcimento.

Le indagini
Mohammed Abdullah è morto d’infarto, dopo un malore, intorno alle 14.00 del 20 luglio 2015, nelle campagne tra Nardò e Avetrana, orario in cui la colonnina di mercurio segnava una temperatura prossima ai 40 gradi.
Quando i sanitari del 118 sono arrivati sul luogo, il cittadino sudanese era già deceduto.
Gli accertamenti investigativi sono stati condotti dai carabinieri del Ros e dagli ispettori dello Spesal. I militari hanno cercato di ricostruire anche la cosiddetta “filiera”. I pomodori erano destinati ad importanti imprenditori attivi nell’industria conserviera, sia in Puglia che in altre Regioni italiane. Al termine degli accertamenti, occorre sottolineare, non sarebbe però emersa da parte di questi imprenditori, alcuna consapevolezza delle condizioni di lavoro disumane dei braccianti agricoli, impegnati nella raccolta dei pomodori.
L’altro processo
Nei mesi scorsi, la Cassazione ha invece annullato la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Lecce con cui era stata stabilita l’assoluzione per imprenditori e “caporali” coinvolti nell’inchiesta Sabr. Erano accusati di avere ridotto in schiavitù i lavoratori extracomunitari impegnati nella raccolta di angurie e pomodori, nelle campagne di Nardò, nel periodo compreso fra il 2008 ed il 2011.
Adesso dovrà dunque celebrarsi un nuovo processo che inizierà il 10 novembre dinanzi ai giudici della Corte d’Appello di Taranto. Dunque lo stesso giorno in cui è prevista la sentenza per la morte del bracciante sudanese.
La Corte di Assise di Lecce, nel luglio del 2017, aveva invece già assolto in primo grado“ per non aver commesso il fatto” Giuseppe Mariano, detto “Pippi”, imputato in quest’altro processo.
