Strage di Nassiriya, passano gli anni ma il dolore non si dimentica

Il 12 novembre del 2003, un camion carico di morte ha distrutto la base italiana a Nassiriya, in Iraq. Il tributo di sangue pagato è stato pesante: 19 morti.

12 Novembre 2003, un giorno come tanti fino alle 08.40, quando la guerra è entrata con forza nelle case degli italiani. Fumo, muri che crollano, sirene di ambulanze, vigili del fuoco, macchie di sangue sul selciato, persone che fuggono terrorizzate. E il dolore. Sono queste le prime immagini che ci giungono dall’Iraq, da Nassiriya, città che si affaccia sulle rive dell’Eufrate a 375 chilometri a sud di Baghdad.

Un camion cisterna blu carico di esplosivo, dai 150 ai 300 chili di tritolo mescolati a liquido infiammabile, era piombato a tutta velocità sul compound della Base “Maestrale”, chiamata anche “Animal House”. L’edificio, sede della Camera di Commercio ai tempi di Saddam Hussein, ospitava gli uomini dell’Operazione «Antica Babilonia». Gli altri impegnati nalla missione di pace stavano nella “Libeccio” a poche centinaia di metri. Il resto è cronaca, anzi storia.

La ricostruzione dell’attentato

Andrea Filippa, il Carabiniere di guardia all’ingresso, spara e uccide due kamikaze impedendo che il camion con il suo carico di morte esploda all’interno della caserma. Le proporzioni della tragedia siano ancora più grandi, ma la deflagrazione, con un terribile effetto domino, fa saltare in aria anche il deposito munizioni. Un inferno. Alla fine della giornata il bilancio dei morti è tragico: 19 italiani e 9 iracheni. 58 i feriti che porteranno per sempre le cicatrici di quel giorno. Tra le vittime anche un salentino: Alessandro Carrisi, 23 anni, di Trepuzzi .

Sotto le macerie sono rimasti 12 carabinieri: Enzo Fregosi, Giovanni Cavallaro, Alfonso Trincone, Alfio Ragazzi, Massimiliano Bruno, Daniele Ghione, Filippo Merlino, Giuseppe Coletta, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Horatio Maiorana, Andrea Filippa. Cinque militari dell’Esercito: Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Emanuele Ferraro, Alessandro Carrisi e Pietro Petrucci. E due civili: il regista Stefano Rolla, che stava facendo un sopralluogo per un film sulle missioni di pace e l’operatore della cooperazione internazionale Marco Beci.

Il ricordo

L’Italia stava vivendo il suo 11 settembre. «C’è un grande cratere dove prima si trovava il parcheggio, a meno di 10 metri dalla facciata devastata della palazzina a tre piani», raccontò un giornalista. «È il nostro Ground Zero», commentò l’allora ministro della Difesa, Antonio Martino, arrivato sul posto.

I funerali di Stato si tennero a Roma il 18 novembre, mentre il Paese cercava di condividere il dolore, con un fiore lasciato sullac scalinata dell‘Altare della Patria, un biglietto, una preghiera o chiamando il 112 per dire condoglianze. «È come se avessi perso i miei figli», confessò con un filo di voce il comandante generale dell’Arma, Guido Bellini, prima di rivendicare con orgoglio che «non uno dei nostri ha chiesto di rientrare. Anzi, abbiamo un elenco lungo così di richieste per partire».

Da quella tragedia il più grave attacco alle truppe italiane dopo la Seconda guerra mondiale, sono trascorsi 17 anni.

in foto: La palazzina di tre piani che ospitava i carabinieri della Msu (Multinational specialized unit) distrutta dall’attentato del 12 novembre 2003 (Ansa)



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