Restano in carcere i Russo, padre e figlio, per il tentato omicidio avvenuto a Nardò,in pieno centro cittadino. Il Tribunale del Riesame, Presidente e relatore Silvio Piccinno, a latere Anna Paola Capano e Maria Pia Verderosa, ha rigettato l'istanza di scarcerazione avanzata dai difensori del 64enne, Francesco Russo e del figlio Giampiero Russo, 27 anni di Nardò. Gli avvocati Francesco Fasano, Tommaso Valente e Francesca Conte che chiedevano l'annullamento dell'ordinanza di applicazione di misura cautelare in carcere, emessa dal gip Alcide Maritati per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il giudice per le indagini preliminari aveva accolto la richiesta avanzata dal pubblico ministero Stefania Mininni, titolare dell'inchiesta. Sono così finiti in manette: il 64enne, Francesco Russo; il figlio Giampiero Russo, 27 anni di Nardò; il 47enne originario di Gela, ma residente a Novara, Angelo Caci (arrestato sabato scorso) detto "Zio Angelo", con l'accusa di "tentata estorsione continuata e aggravata". Risultano indagati altri due siciliani, non ancora identificati. Francesco Russo e Angelo Caci rispondono anche di "tentato omicidio" (senza l'aggravante della modalità mafiosa, come ipotizzato inizialmente) e "porto illegale di arma da fuoco".
Il giudice delle indagini preliminari nelle pagine dell'ordinanza sottolineava che il tentato omicidio andrebbe inquadrato "nella contrapposizione, in atto a Nardò, tra elementi di spicco della criminalità organizzata". In base a quanto sostenuto dal gip Maritati nell'ordinanza, le due imputazioni sarebbero strettamente collegate tra loro. Fondamentali in tal senso, le dichiarazioni della vittima della tentata estorsione e di due persone molto vicine a Calignano. Il primo ha ricostruito la vicenda della richiesta di denaro, messa in atto dai tre indagati attraverso minacce e violenze fisiche. Il commerciante ha dunque riferito di una prima richiesta estorsiva di 500 euro, da lui non "soddisfatta" per mancanza di liquidità, ma della quale venne informato Calignano. Questi si interessò alla faccenda, interloquendo con i presunti estorsori che ebbero, evidentemente, una reazione contraria alle "aspettative, che sfociò nel tentativo di ammazzare lo stesso Calignano. Dopo l'agguato, la "vittima" sarebbe stato condotto in Ospedale da Antonio Duma 55enne di Nardò, finito in manette, con l'accusa di spaccio di sostanze stupefacenti. L'arresto rientra nell'ambito di una vasta operazione antidroga effettuata a Nardò per ricercare legami e connivenze tra l'agguato e gli ambienti dello spaccio.
Ecco che allora, l'omicidio di Calignano assume sfumature tipiche. Che le donne, come ipotizzano negli ultimi giorni gli investigatori, abbiano un ruolo importante nella gestione degli affari dei clan fa ormai poca notizia; già agli albori della Scu, le donne gestivano gli affari più delicati dei capi-bastone (basti pensare alla moglie di Pino Rogoli, il fondatore della Sacra a Corona Unita brindisina ). Così come, la piaga sociale dell'omertà in piccole realtà come Trepuzzi (la vicenda del fantomatico " Triglietta" è certamente paradigmatica di certe connivenze), Squinzano, Surbo, a volte, in presenza di personaggi di notevole caratura criminale costituisca un ostacolo alle indagini. Nel caso di Nardò, ad ogni modo, il lavoro degli inquirenti ė servito a capire, perché l'obiettivo dell'agguato sia stato proprio Gianni Calignano. La futura vittima sarebbe stata individuata come un intruso in dinamiche estorsive che non lo includevano nel ruolo di "protettore". Il suo "protetto" ( la vittima di estorsione) ha, – seppur messo alla strette – ripercorso la vicenda della richiesta di denaro, messa in atto dai tre indagati, attraverso minacce e violenze fisiche risultando fondamentale per ricostruire i retroscena della vicenda.
