“Ahi serva Italia, -anche oggi – di dolore ostello!”. L’amara riflessione di uno studente del Trinchese di Martano

L’attualità del VI Canto del Purgatorio dantesco, ben 700 anni dopo. Ecco l’elaborato di un giovane del quarto anno dell’Istituto martanese.

Nel Canto Sesto del Purgatorio della Divina Commedia dantesca, l’autore pronuncia la celebre invettiva all’Italia, divenuta uno dei passi più conosciuti e commentati dell’opera. Un successo dovuto in larga parte alla sua sorprendente attualità.

L’immagine della “serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” (vv.78-79) si addice straordinariamente tanto all’Italia del tredicesimo secolo quanto a quella del ventunesimo secolo, in mano a una classe politica incompetente che, trascurando il bene e gli interessi dei cittadini, si abbandona all’illecito e alla corruzione.

E non è solo la comunità a pagare le spese di tale menefreghismo degli “alti vertici”: una nazione, come l’Italia, che ha fatto dell’immenso patrimonio artistico-culturale il suo punto di forza, vede ora gli affreschi pompeiani sbriciolarsi in mille frammenti, la barcaccia romana del Bernini devastata da un’irrispettosa folla di tifosi olandesi, un capitello della basilica fiorentina di Santa Croce cadere su un turista spagnolo… Colpa, senza dubbio, della non curanza delle amministrazioni, sia a livello locale che a livello nazionale, le quali hanno trasformato l’Italia da “giardin de lo ‘mpero” (vv.105) a “fiera fatta fella” (vv.94)?

Dante, inoltre, tra i versi della famosa invettiva, denuncia la corruzione del mondo politico e dell’ambiente ecclesiastico del tempo. La situazione, dopo oltre settecento anni, non sembra essere cambiata: basti pensare alla recentissima ordinanza che ha portato dietro le sbarre noti dirigenti della Pubblica Amministrazione accusati di essersi scambiati favori di ogni tipo: giudiziari, sanitari, persino sessuali.

E che dire, poi, della corruzione degli uomini di Chiesa? Dante li accusa di aver provocato ingenti danni dopo essere saliti a cavallo del destriero italiano e aver esercitato senza alcun riguardo il loro potere temporale, preferendo la gloria e i beni terreni alla salvezza delle anime dei fedeli.

Vi si può rintracciare un incredibile parallelismo con l’atteggiamento – sempre più diffuso ai giorni nostri– di attaccamento, da parte degli ecclesiastici, alla ricchezza e alla mondanità: anche vicende di tal genere balzano spesso agli onori della cronaca. Nel maggio 2014, ad esempio, fece scalpore la notizia del potente cardinale in possesso di un “super attico” di 700mq nel pieno centro della Città Eterna.

La Divina Commedia dantesca si dimostra, così, ancora una volta, non un semplice volume il cui destino è rimanere impolverato in uno scaffale qualsiasi della nostra libreria, ma un’opera viva, pulsante, da leggere attentamente per comprendere come lo studio del passato ci possa fornire innumerevoli chiavi per una lettura più consapevole del presente.

di Paolo Miceli IV AS



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