Il referendum costituzionale ha due opzioni, ma il PD ha tre posizioni

La data della consultazione referendaria a cui saranno chiamati gli italiani si avvicina. Il fronte del Sì e il fronte del No giocano le proprie carte. Leccenews24 ospita l’opinione di Enrico Mauro, ricercatore di diritto amministrativo all’Università del Salento.

Attraverso discussioni più o meno accese i partiti e le altre associazioni interessati a prendere posizione sul referendum costituzionale hanno ormai preso una posizione, più o meno esplicitamente lasciando, com’è giusto, libertà di coscienza ai dissenzienti dalla posizione ufficiale.

 Anche il PD naturalmente, essendo Renzi e Boschi i promotori della riforma costituzionale, ha una posizione ufficiale: «sì». Ma il PD ha anche, curiosamente visto che le opzioni offerte dal referendum sono solo «sì» e «no», due posizioni minoritarie, rappresentate da due esponenti di peso: D’Alema, ex due volte Presidente del Consiglio (non più parlamentare),dice «no», mentre Bersani, ex segretario del PD e candidato alla Presidenza del Consiglio alle ultime elezioni, fino a poche ore fa diceva «sì, a condizione che venga cambiata la legge elettorale», il cosiddetto Italicum, approvato l’anno scorso.

Soffermiamoci su questa dialettica interna al PD: tre posizioni per due opzioni.

Chi scrive voterà «no». Inutile fingere di essere imparziali. Dal punto di vista di chi voterà «no», la posizione «Renzi-Boschi» appare per nulla condivisibile, ma comprensibile. Piacerebbe, peraltro, che qualche fautore del «sì» affermasse che è comprensibile anche il «no» e provasse a sostenere il «sì» senza fare allarmismo economico, come quello che già fanno tante istituzioni estere, sovranazionali e internazionali e l’ambasciatore statunitense in Italia.

Sempre dal punto di vista di chi voterà «no», la posizione «Bersani» appariva incomprensibile. Bersani, che non ha votato a favore dell’Italicum, è coerente nel chiederne la modifica. Ed è vero che l’associazione tra riforma e legge elettorale per la Camera (il Senato riformato non sarà elettivo) con premio di maggioranza spropositato, dato per di più a un partito e non a una coalizione, è, senza esagerare, democraticamente pericolosa, perché incide pesantemente sui cosiddetti contropoteri, a cominciare dal Presidente della Repubblica.

Ma Bersani dichiarava che, se la legge elettorale fosse stata cambiata in meglio, avrebbe votato «sì», altrimenti «no». Solo che la Corte costituzionale, che il 4 ottobre dovrebbe decidere della costituzionalità della legge elettorale, pare che possa ‘decidere di decidere’ dopo il referendum. Il che costringe Bersani a prendere posizione per il «sì» o per il «no» al referendum a prescindere dalla modifica della legge elettorale. Infatti è di queste ore la sua nuova posizione: «no, ma senza fare campagna elettorale per il no».

Che è come passare da una posizione incomprensibile a una diversamente incomprensibile. Se uno vota convintamente «no», perché non dovrebbe fare campagna elettorale per il «no»?

Ma che cosa non convince per nulla della posizione intermedia e temporeggiatrice che Bersani ha appena abbandonato e della posizione poco convinta che ha appena assunto? Non convince il fatto che la riforma gli sembri buona se combinata con una legge elettorale diversa. Può darsi che combinata con una legge elettorale diversa la riforma sarebbe meno democraticamente pericolosa, ma resterebbe comunque una riforma istituzionalmente penosa.

In che senso, per entrare nel merito, la riforma sarebbe, a prescindere dalla legge elettorale, istituzionalmente penosa? Lo spazio che rimane è poco, ma va detto almeno che, se l’obiettivo primario della riforma, come dice il suo stesso titolo, è il «superamento del bicameralismo paritario», cioè la semplificazione/accelerazione del processo legislativo, non sono convincenti né l’obiettivo, né i meccanismi predisposti per ottenerlo.

Quanto all’obiettivo, siamo sicuri che sia desiderabile? Vogliamo leggi fatte ancora più rapidamente e quindi ancora più numerose o preferiremmo leggi fatte meglio in modo da non dover essere modificate ogni cinque minuti? Pensiamo alla legge elettorale: mai applicata e già da modificare! Forse sarebbe stato utile farla più lentamente, più riflessivamente, più collaborativamente!

Quanto ai meccanismi, il nuovo Senato è quanto di peggio si potesse concepire. Non è abolito, ma non è eletto dal corpo elettorale (perdiamo un altro diritto di voto dopo quello per le province). I senatori sono quasi tutti (consiglieri regionali e sindaci) part-time (senatori due giorni la settimana) e scadono quasi tutti in momenti diversi (ogni tanto uno va via e dev’essere sostituito, mentre magari segue un procedimento legislativo importante). Le procedure legislative diventano dieci, a seconda delle materie, tant’è che il testo prevede il nuovo istituto del conflitto di competenza tra le Camere (e sicuramente aumenteranno i giudizi di costituzionalità per mancata adozione della procedura giusta per una certa materia). E poi, tralasciando altri difetti non da poco e per chiudere, si rischia di avere un Senato di inquisiti, perché i più interessati a fare i senatori saranno i consiglieri regionali e i sindaci bisognosi delle immunità parlamentari per difendersi dalle inchieste giudiziarie.

Una gran bella riforma.
 
di Enrico Mauro



In questo articolo: