Carlo Salvemini era o non era l’uomo giusto per cambiare passo a Lecce città? Era o non era l’uomo nuovo della sinistra leccese? È quanto di quello slancio popolare e di quelle energie politiche sono rimaste dopo 4 anni? Domande che si affacciano sulla scena e che non resteranno a lungo senza risposta perché è chiaro che qualcosa è cambiato. E non solo nella percezione della cittadinanza, ma maggiormente nelle dinamiche dialogiche del centrosinistra che a questo punto appaiono poco comprensibili. O meglio, risultano leggibili solo alla luce di una grammatica interna al PD che rivendica un protagonismo perduto negli anni del salveminismo a Palazzo Carafa.
Che la matassa dovesse prima o poi essere sbrogliata era nell’aria da tempo, forse fin da quando le forze di sostegno alla candidatura di Carlo Salvemini, già nel 2017, avevano individuato una risorsa nuova da ‘gettare’ nell’arena per superare definitivamente la lunga stagione del Centrodestra al governo di Lecce. Obiettivo comune cassa comune, ma poi le esigenze sono evidentemente cambiate, per tutti. Come sono cambiate le relazioni e i rapporti di forza. Come gli stessi meccanismi del civismo che videro alfiere Alessandro Delli Noci appaiono apoditticamente compromessi ed usurati e conseguentemente impossibili da riproporre.
In fondo il leccese comprende facilmente che la svolta desiderata c’è stata solo nei nomi che si sono alternati, nella sostituzione di un sindaco con un altro, ma non nei processi di reale trasformazione e rigenerazione della città capoluogo. Insomma nessuno è convinto che la Lecce del 2023 sia migliore di quella del 2017, nemmeno il PD che oggi muove a pretesto le Primarie per recuperare carisma e credibilità perdute nel tempo del salveminismo.
La comunità leccese aveva esultato all’idea di vedere ‘spalancate le finestre’ ma il ricambio d’aria degli amministratori eletti non è stato all’altezza della suddetta visione, e non certo per esclusiva responsabilità dell’attuale sindaco. Così le finestre ormai si richiudono per riaprire i vecchi cancelli delle Primarie, dove la disarticolazione della compagine di governo appare una prospettiva concreta, o nella migliore delle ipotesi un semplice gioco tra esperti intrattenitori, un gioco a rimpiattino che nessuno riuscirà a spiegare in modo convincente e che pochi capiranno.