La Storia del Lecce dal 1975 a oggi, da Giorgis a Corso – II puntata

Dopo il trasferimento di mister Mimmo Renna e del suo vice Aldo Sensibile all’Ascoli, dove il tecnico leccese avrebbe vinto il campionato di B, il Lecce vide arrivare sulla panchina del Via del Mare Lamberto Giorgis, proveniente dal Novara.

Con la seconda puntata della storia del Lecce ripercorriamo il periodo di assestamento della squadra nella serie cadetta. Dopo l’addio di Renna e fino alle soglie dell’era Fascetti, anni importanti durante i quali il Lecce si impose come grande realtà calcistica nazionale. Cominciarono ad arrivare allenatori di valore, ma per raggiungere la serie A ci sarebbero voluti altri otto anni di salvezze più o meno sofferte. Sarà il periodo del Lecce dei leccesi, con tanti esordi di giovani calciatori che avrebbero avuto carriere di livello negli anni a seguire.

Dopo il trasferimento di mister Mimmo Renna e del suo vice Aldo Sensibile all’Ascoli, dove il tecnico leccese avrebbe vinto il campionato di B, il Lecce vide arrivare sulla panchina del Via del Mare Lamberto Giorgis, proveniente dal Novara (appena retrocesso in C) ed esonerato dal club piemontese dopo la 26^ giornata.

L’impianto della squadra era in gran parte quello della stagione precedente, con Nardin, Pezzella, Lorusso, Cannito, Montenegro, Loddi e con l’arrivo del centrocampista Mario Russo, leccese doc, e di Ermanno Beccati, proveniente dall’Empoli e capace, quell’anno, di 8 reti, miglior cannoniere dei giallorossi nella stagione.

Il 77-78 si concluse con un ottimo settimo posto in classifica, esattamente come l’anno prima. Il gioco di Giorgis era poco spettacolare, ma concreto. Pochi gol fatti, ma pochissimi subiti. Si cominciava a gettare le basi per qualcosa di più importante e redditizio.

E cosi avvenne, l’anno dopo, con l’arrivo dell’allenatore Pietro Santin, detto Rino, che fino ad allora si era specializzato nel guidare squadre della Campania in serie C. Aveva allenato, infatti, Juve Stabia, Benevento, Sorrento e Nocerina. Il Lecce di Santin fu una delle squadre protagoniste del campionato 78-79 che avrebbe chiuso con un vertiginoso sesto posto a pochi punti dalla zona promozione.

Una stagione che molti ricordano per l’arrivo a Lecce, via Palermo, dell’attaccante Sergio Magistrelli, che l’anno prima nel capoluogo siciliano aveva segnato 7 reti e che nel Lecce si superò, raggiungendo quota 8.

Arrivò anche Tonino La Palma, grande terzino sinistro, che molti ricordavano anni prima nel Brindisi di Vinicio e che poi il maestro brasiliano portò con sé al Napoli in serie A.

In quella fine degli anni ’70 cominciava a farsi largo un’accesa rivalità calcistica col Bari, che era stato da poco rilevato dalla famiglia Matarrese e che aveva raggiunto la serie B nel 1977, un anno dopo il Lecce, ma saranno gli anni ’80 i veri testimoni dei caldi derby pugliesi.

Nella squadra giallorossa quell’anno mister Santin fece esordire un leccese, caro ai ricordi di noi tutti per essere stato un protagonista dei primi anni ottanta: Francesco Mileti, appena diciassettenne.

Jurlano e Cataldo però decisero di cambiare nuovamente allenatore, il quarto in quattro anni di serie B alla guida del Lecce e arrivò Bruno Mazzia, tecnico 38 enne che l’anno prima aveva allenato in serie cadetta la Nocerina, subentrando a Bruno Giorgi e non riuscendo però a salvare la squadra campana. Il campionato non passò alla storia per i successi e nonostante l’arrivo di buoni giocatori come Re, Grezzani, Biagetti, il Lecce partì male e si salvò con appena due punti sulla Sambenedettese, quart’ultima.

Il futuro sarebbe stato amaro e non solo per i risultati in campo ma anche e soprattutto per il primo clamoroso scandalo del calcio scommesse, che portò all’arresto di calciatori e dirigenti di serie A e B e che provocò pesanti squalifiche a decine di giocatori, fra questi Claudio Merlo, centrocampista del Lecce. La vicenda segnò anche la Società che si trovò ad affrontare momenti davvero difficili. Tuttavia l’anno dopo, stagione 80-81, si riparti da Mazzia in panchina. Ma durò poco.

Si cominciò subito con due sconfitte, la seconda bruciante perché arrivata sul campo del Bari nel derby di Puglia.
Un Bari che era guidato dall’amato, fino ad allora, Mimino Renna. Il problema che il leccese Renna, con il suo Bari, vinse anche a Lecce nel girone di ritorno, quando sulla panchina giallorossa sedeva ormai un altro tecnico: il napoletano Gianni Di Marzio.

La panchina di Mazzia, infatti, aveva resistito solo 9 giornate. Poi Mimmo Cataldo chiamò quello che era stato già allenatore del Catanzaro e del Napoli in serie A e che nel ’76 condusse i giallorossi calabresi nel Massimo Campionato. Di Marzio l’anno prima aveva allenato in serie B il Genoa, raggiungendo una serena salvezza.

Il Lecce di Di Marzio alla fine centrò una buona permanenza tra i cadetti, con posizionamento da mezza classifica. Quella fu una delle serie più tremende per quei tempi. In B c’erano i diavoletti del Milan retrocessi dopo lo scandalo scommesse e gli aquilotti della Lazio, compagni di medesima sorte. Il Milan vinse comodamente il campionato riprendendosi la serie A, la Lazio non ci riuscì.

Nell’81-82 Gianni Di Marzio era l’allenatore che avrebbe dovuto dare al Lecce qualcosa in più. Fece l’esordio in serie B un leccese che poi avrebbe fatto una bella carriera: Primo Maragliulo.

Tuttavia il tecnico partenopeo non ebbe la possibilità di fare cose grandi. Gli acquisti di Tacchi, Orlandi, Imborgia e Ferrante non furono sufficienti, certamente non determinanti, e a stento il Lecce mantenne la categoria, salvandosi con appena un punto, alla penultima di campionato, battendo in casa per 2-1 il micidiale Palermo di Mimmo Renna, che due settimane prima aveva visto sfumare la serie A nel derby siciliano con il Catania.

Curiose le vicende della vita. Sarebbe stato proprio il Catania a chiamare Di Marzio, qualche giorno dopo, e Di Marzio accettò l’incarico, lasciando il Lecce per andare ai piedi dell’Etna. E fece bene. Perché nell’82-83 il Catania di Gianni Di Marzio andò in serie A.

Sulla panchina del Lecce arrivò un mito del calcio italiano, uno dei giocatori più forti di tutti i tempi. Mario Corso, “il mancino di Dio”. Corso fu uno di quei grandi calciatori che non ebbero, da allenatori, le stesse fortune. Il Lecce di Corso infatti fu quello meno brillante del ciclo cadetto. Il Lecce nell’82-83 si classifica in 16^ posizione, ultimo posto utile per la salvezza. Appena due punti lo separano dalla serie C.

A parte la vittoria nel derby col Bari allo stadio Della Vittoria, con gol vincente di Ciro Pezzella, non c’è molto da ricordare. Corso va via, e trova subito una panchina di serie B, al Catanzaro, appena retrocesso dalla serie A. Ma il mancino di Dio durerà poco nel capoluogo calabrese; alla decima giornata, infatti, viene sostituito da Mimmo Renna.

La dirigenza leccese dopo aver cambiato sei allenatori in sette anni, non sa più cosa fare per regalare ai tifosi qualche soddisfazione in più. Sono anni che qualcuno sogna la serie A e invece il Lecce nelle ultime tre stagioni ha rischiato la C.

La Società ingaggia allora il tecnico viareggino Eugenio Fascetti, che aveva fatto cose splendide a Varese, nei 5 anni precedenti, riportandolo in serie B nel 1980 e vivendo tre buone stagioni successive in terra lombarda, arrivando anche a sfiorare la serie A.

E fu subito, o quasi, gloria. Perché il Lecce di Fascetti sfiorò la seria A già il primo anno. Nell’83-84 si piazzò al quarto posto.

Fu anche un anno tragico per il Lecce, ma questa storia la racconteremo domenica prossima, con la terza puntata della storia del Lecce Calcio dal 1975 ad oggi.

 



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