Calcio italiano in lutto, morto Carletto Mazzone. Con lui il Lecce arrivò a tre punti dalla zona Uefa

Aveva 86 anni e si è spento nella sua casa di Ascoli Piceno. Con lui i giallorossi hanno ottenuto il miglior piazzamento in A della storia.

Il Calcio italiano perde un suo indiscusso protagonista. Si è spento nella sua abitazione di Ascoli Piceno Carletto Mazzone, uno dei più amati allenatore del calcio italiano. Aveva 86 anni.

Certamente in occasione del campionato che prende il via oggi la Federazione Italiana Giuoco Calcio disporrà un minuto di raccoglimento per onorarne la memoria, ma chissà se Lecce, Roma, Cagliari, Napoli, Brescia e tante altre squadre che ha allenato nel corso della sua lunghissima carriera, faranno richiesta di scendere in campo con il lutto al braccio.

28 stagioni e 792 panchine in Serie A – primatista assoluto – 1278 totali, sono questi alcuni numeri che ne lo hanno contraddistinto.

A lui si deve la scoperta, ma soprattutto la maturazione, di tantissimi calciatori che nel tempo hanno raggiunto grandi traguardi a livello mondiale.

Sotto la sua guida il Lecce, nella stagione 1988/1989, arrivò, addirittura a tre soli punti dalla zona Uefa e con l’allenatore romano si è avuta l’esplosione di Marco Baroni, Antonio Conte, Gigi Garzya e Checco Moriero.

Tre stagioni e mezzo in giallorosso, nelle quali la squadra ha sfiorato la promozione in A il primo anno (sfumata a causa dello spareggio perso a San benedetto del Tronto contro il Cesena), ottenuto il salto nella massima serie l’anno successivo e due salvezze consecutive.

Sor Carletto”, come era chiamato, aveva un rapporto particolare con i calciatori, speciale, era una sorta di secondo padre. Da loro riusciva sempre a tirare fuori il meglio.

Ha lanciato nel calcio che conta Francesco Totti, fatto vivere una seconda giovinezza a Roberto Baggio e Pep Guardiola. Ebbe l’intuizione di spostare Andrea Pirlo – allora eterna promessa – davanti alla difesa, ruolo che ha fatto sì che il centrocampista bresciano divenisse uno dei calciatori più forti al mondo.

Era il simbolo di uno sport genuino, sanguigno, colmo di passione e basato sulla cultura e l’etica del lavoro.