Il maltempo non aveva fermato la macchina organizzativa, così, causa pioggia, era scattato il piano B, perché la visita della Commissione Europea, giunta nel capoluogo barocco per valutare se Lecce avesse o meno i requisiti per diventare Capitale Europea della Cultura nel 2019, non era un evento qualunque. In ballo c’era il destino di una città, un futuro fatto di progetti e idee da realizzare, la fine di un percorso e l’inizio di un altro, ma anche di soldi da spendere, per essere concreti. La giornata dell’Eutopia era iniziata in via Francesco D'Aragona, una delle strade barocche più belle della città, dove i giurati accompagnati da un sorridente Airan Berg, direttore artistico di Lecce2019, erano stati accolti da una festosa banda. E poi i trampolieri, le fotografie, gli artisti, le canzoni in dialetto locale, gli aperitivi, le bevande, i piatti tipici. Lecce ed i leccesi hanno dato il meglio di sé, in 2019 situazioni di salentinità pura.
Come andò a finire, però, è noto a tutti. A spuntarla con sette voti su tredici è stata Matera, con le sue case ricavate nella roccia e inserite nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. L’ultima della classe era improvvisamente diventata prima.
Nei giorni successivi la domanda che ha tenuto banco è stata una ed una sola: ha vinto la città dei sassi o ha perso il barocco? E giù fiumi di parole, alla ricerca di un perché, di un capro espiatorio, di un senso. Si è litigato persino sui voti che Lecce avrebbe ricevuto. Tre a detta del Sindaco Paolo Perrone nella conferenza stampa del dayafter, nessuno stando a quanto battuto dalle agenzie di stampa e secondo lo staff di Ravenna2019, uno solo secondo voci che circolavano dopo l'annuncio della vincitrice nella sede romana del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ma che importa? Il risultato non sarebbe cambiato.
Comprendere il meccanismo che ha portato alla vittoria del 'gioiellino lucano' però era importante, non tanto per fare polemica quanto per capire cosa era stato fatto e cosa no, cosa c'era e cosa mancava nel dossier di oltre 100 pagine e con la copertina realizzata con i resti di olio di oliva e frutta, tenuto segretissimo per "strategia". "E tra le strategie di una partita ci può anche essere la scelta di tenere le proprie carte coperte, per non avvantaggiare gli altri competitori" come aveva spiegato lo stesso Perrone.
Con la pubblicazione, per ora solo in lingua inglese, del report finale della commissione di 13 esperti, presieduta da Steve Green, che hanno valutato le 6 proposte contenute negli ormai noti Bid book, finalmente si può conoscere i punti deboli della candidatura di Lecce.
Insomma, in parole povere la Commissione non avrebbe compreso bene il senso del progetto dell’Accademia Europea del Potenziale Umano che ruotava intorno alle 8 utopie, considerato “troppo complesso” per essere trasmesso all’opinione pubblica locale e soprattutto europea. «La commissione – si legge nel documento divulgato dall’esponente Lecce Bene Comune, Carlo Salvemini – ha fatto fatica a comprendere le relazioni e le interazioni della struttura e ha percepito che potesse essere troppo complicata per essere riconosciuta dal pubblico e per una politica di marketing, sia a livello locale sia a livello internazionale».
Non solo, sarebbe stata considerata “debole” anzi troppo “cauta” anche la pianificazione economica: i progetti messi a fuoco nel bid book utilizzerebbero solo il 20% del budget di programma previsto inizialmente. Nella sua proposta, infatti, Lecce aveva preventivato di spendere 38,8 milioni di euro: 28,3 nelle attività; 5,4 in marketing e 5,1 per lo staff e la gestione. I finanziamenti sarebbero così stati assicurati: 5 milioni dal bilancio comunale, 5 di contributo statale; 6,8 dai privati; 1 milione dalla Regione; 4,3 da altri enti (Università, Comune di Brindisi); 14,5 di fondi strutturali europei e 2,1 di altri fondi comunitari.
Ed ancora cosa rimane alla città del progetto di Eutopia? Una domanda a cui i commissari chiamati a valutare la città vincitrice, non hanno saputo rispondere. La proposta materana probabilmente è stata più concreta, più aderente alle esigenze del territorio e all’offerta culturale. Il documento stilato in inglese non è stato di facile interpretazione, ma fin dalle prime ore della sua pubblicazione si sprecano i commenti soprattutto di chi, della proposta di Arian Berg, non si è mai detto convinto.