Morte bracciante sudanese, impiegato nella raccolta di pomodori. Condanna a 29 anni per i due imputati

Mohammed Abdullah è morto d’infarto, dopo un malore, intorno alle 14.00 del 20 luglio 2015, nelle campagne tra Nardò e Avetrana

Si conclude con due pesanti condanne il processo per la morte di un bracciante sudanese, impiegato nella raccolta dei pomodori nelle campagne tra Nardò e Avetrana.

La Corte d’Assise (presidente Pietro Baffa, a latere Maria Francesca Mariano e giudici popolari), al termine del processo in aula bunker, ha inflitto la pena complessiva di 29 anni di reclusione. Nello specifico: 12 anni anni per riduzione in schiavitù e 2 anni e 6 mesi per omicidio colposo per Giuseppe Mariano, 83 anni, di Porto Cesareo, marito della titolare dell’azienda agricola. Stessa condanna per Mohamed Elsalih, 42enne originario del Sudan, che avrebbe svolto il ruolo di mediatore per gli arrivi in Salento dei braccianti. Per entrambi è stata anche disposta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

I giudici hanno disposto anche il risarcimento del danno in separata sede in favore delle parti civili: la moglie e la figlia della vittima, la Cgil ed il Cidu (Centro Internazionale Diritti Umani). Sono assistiti dagli avvocati Cinzia Vaglio, Viola Messa, Paolo D’Amico e Cosimo Castrignanò. E le aziende Mutti e Conserve Italia, difese dai legali Anna Grazia Maraschio, Raffaele Di Staso e Vincenzo Muscatiello. Inoltre, è stata disposta una provvisionale di 50mila euro in favore della moglie della vittima.

Non solo, poiché i giudici hanno trasmesso gli atti al pm per valutare il reato di falsa testimonianza nei confronti di quattro persone ascoltate durante il processo.

In una scorsa udienza, il pm Francesca Miglietta, al termine della requisitoria, aveva invocato complessivamente 23 anni di reclusione. Ed aveva ricostruito i fatti, sottolineando come i lavoratori fossero costretti a lavorare in condizioni di assoluto sfruttamento, con una “mortificazione” della persona umana. E ciò avrebbe certamente influito sul decesso di Mohammed Abdullah, 47enne, lavoratore stagionale originario del Sudan, che soffriva di una grave forma di polmonite.

Invece, in mattinata, hanno discusso gli avvocati difensori dei due imputati.

Mohamed Elsalih è assistito dall’avvocato Ivana Quarta (sostituita in udienza dall’avvocato Giuseppe Sessa). La difesa ha sostenuto come non ci sia prova del suo ruolo di intermediario e di caporale, motivo per cui non può essere considerato responsabile della morte del bracciante.

Giuseppe Mariano è difeso dall’avvocato Antonio Romano che ha sostenuto la tesi dell’inutilizzabilità dei verbali di sommarie informazioni relativi al’ascolto dei testimoni.

I legali potranno presentare ricorso in Appello, appena verranno depositate le motivazioni della sentenza (entro 60 giorni).

I due imputati erano accusati originariamente di “caporalato”. Nel corso di un precedente processo però, dinanzi al giudice monocratico, il pm Paola Guglielmi, titolare dell’inchiesta, aveva presentato la modifica dell’originario capo d’imputazione, riqualificando il reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) in quello di “riduzione in schiavitù”. E si e poi arrivati alla celebrazione di un nuovo processo in Corte d’Assise.

Mohammed Abdullah è morto d’infarto, dopo un malore, intorno alle 14.00 del 20 luglio 2015, nelle campagne tra Nardò e Avetrana, orario in cui la colonnina di mercurio segnava una temperatura prossima ai 40 gradi.

Gli accertamenti investigativi sono stati condotti dai carabinieri del Ros e dagli ispettori dello Spesal. I militari hanno cercato di ricostruire anche la cosiddetta “filiera”. I pomodori erano destinati ad importanti imprenditori attivi nell’industria conserviera, sia in Puglia che in altre Regioni italiane. Al termine degli accertamenti, occorre sottolineare, non sarebbe però emersa da parte di questi imprenditori, alcuna consapevolezza delle condizioni di lavoro disumane dei braccianti agricoli, impegnati nella raccolta dei pomodori.

Nei mesi scorsi, la Cassazione ha invece annullato la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Lecce con cui era stata stabilita l’assoluzione per imprenditori e “caporali” coinvolti nell’inchiesta Sabr. Erano accusati di avere ridotto in schiavitù i lavoratori extracomunitari impegnati nella raccolta di angurie e pomodori, nelle campagne di Nardò, nel periodo compreso fra il 2008 ed il 2011.

Il nuovo processo ha avuto inizio il 10 novembre dinanzi ai giudici della Corte d’Appello di Taranto. La Corte di Assise di Lecce, nel luglio del 2017, aveva invece già assolto in primo grado “per non aver commesso il fatto”, Giuseppe Mariano, detto “Pippi”, imputato in quest’altro procedimento.



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