“Mi scusi avvocato!”, quattro colpi di pistola per uccidere Giorgio Ambrosoli

L’avvocato, incaricato di liquidare la banca di Michele Sindona, fu ucciso con quattro colpi di pistola a pochi passi dal portone di casa. Era l’11 luglio 1979

11 luglio 1979. Mancava qualche minuto a mezzanotte quando l’avvocato Giorgio Ambrosoli fu ucciso con quattro colpi di pistola mentre stava scendendo dall’auto che aveva parcheggiato a pochi passi dalla sua abitazione. Aveva trascorso la serata con degli amici in una trattoria, dove aveva visto un incontro di pugilato, li aveva riaccompagnati a casa e, dopo pochi minuti, era tornato a Sant’Ambrogio, cuore della borghesia di Milano. In via Morozzo della Rocca, al civico numero 1, c’era qualcuno ad attenderlo: un killer silenzioso accompagnato da due complici.

Lo sconosciuto si avvicina, con un accento ‘straniero’ si scusa e preme il grilletto della pistola che stringeva in mano. Quattro colpi di una 357 Magnum mettono fine alla vita dell’avvocato, la cui unica colpa era stata quella di aver accettato l’incarico che il Governatore Guido Carli gli aveva assegnato. Lui, un professionista onesto, ma sconosciuto, avrebbe dovuto liquidare la Banca Privata Italiana di Michele Sindona, un uomo potente che, secondo la giustizia, aveva ordinato il suo omicidio.

Ambrosoli muore, da solo… come era stato negli ultimi mesi, mentre il suo assassino fugge via a tutta velocità su una “Fiat 127” rossa. L’«eroe borghese» – come il titolo del bellissimo libro di Corrado Stajano – aveva pagato con la vita la sua integrità. Sapeva quale sarebbe stato il suo destino, come dimostra la toccante lettera scritta alla moglie, ma non si era sottratto alle sue responsabilità, aveva scavato a fondo, scoprendo i segreti e gli affari ‘sporchi’. Non aveva ceduto mai, né alle minacce né ai tentativi di corruzione.

La ricostruzione

Il killer senza volto che più di un testimone aveva visto scappare dopo l’agguato non resta a lungo senza nome. A uccidere Giorgio Ambrosoli fu William Joseph Aricò, conosciuto come “Bill lo sterminatore” perché vendeva, porta a porta, pillole al cianuro per la derattizzazione degli appartamenti. La svolta nelle indagini arriva grazie alle parole di Henry Hill, un trafficante di droga che, per anni, aveva condiviso la cella nel penitenziario di Lewisburg con Aricò e un altro personaggio determinante in questa storia Robert Venetucci. Era stato lui a fare da tramite, a mettere in contatto Michele Sindona con Bill, spietato killer su commissione, ma incline a facili “confidenze” come quella fatta al suo compagno Hill che, alla fine, lo ha incastrato. Era stato lui a raccontare di aver ucciso a Milano l’ avvocato Giorgio Ambrosoli, così come gli aveva ordinato il banchiere siciliano. C’ era la mano di Sindona anche nelle telefonate di minaccia che Ambrosoli aveva ricevuto prima di essere ucciso. L’avvocato le registrava, nastri che dimostrano che si trattava ‘solo’ di una morte annunciata.

Michele Sindona, una volta incastrato, cerca di trarsi fuori dall’accusa di omicidio. Racconta che Aricò, pagato con 25mila dollari in contanti e altri 90mila accreditati su una banca di Lugano, avrebbe dovuto solo spaventare Ambrosoli, sparando in aria. E che, dopo averlo ucciso, aveva usato l’omicidio per ricattarlo. La versione non regge, si tratta per i magistrati dell’ultima mossa, la più disperata, per evitare la condanna.

Le morti ‘misteriose’

Il banchiere, uomo di fiducia dello Ior, celebrato nel 1973 da Giulio Andreotti come il «salvatore della lira», fu condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio dell’avvocato milanese. Due giorni dopo fu trovato senza vita nella sua cella del Carcere di Voghera, morto per un caffè al cianuro che aveva bevuto il giorno della lettura della sentenza, con un finale degno di un romanzo criminale.

Anche il Killer, Aricò, è morto in circostanze poco chiare: il 19 febbraio scorso è precipitato mentre tentava di evadere dal Metropolitan Correctional Center di Manhattan insieme con Miguel Sepulveda, un trafficante colombiano di cocaina.