Neonato morì dopo il parto: assolti due medici della clinica ‘Petrucciani’. Erano accusati di omicidio colposo

La ginecologa A.R. 55enne di Lecce e l’ostetrica O.M. 48 anni di Collepasso erano state accusate di omicidio colposo per il decesso del piccolo Nicolò Rescio, avvenuta il 10 luglio del 2010

Erano accusati della morte di un neonato, ma al termine del processo arriva l'assoluzione per due medici. Il giudice monocratico Pasquale Sansonetti della seconda sezione penale ha ritenuto la ginecologa A.R. 55enne di Lecce e l'ostetrica O.M. 48 anni di Collepasso non colpevoli, "perché il fatto non sussiste". 
  
I due "camici bianchi" erano accusati di omicidio colposo per il decesso del piccolo Nicolò Rescio, avvenuta il 10 luglio del 2010, presso la clinica "Petrucciani". Nel corso della discussione in aula, il pubblico ministero Emilio Arnesano ha chiesto l'assoluzione di entrambi i medici. Così come, i difensori di A.R. ed O.M., gli avvocati Amilcare Tana ed Ester Nemola. I legali hanno evidenziato come il povero Nicolò ebbe una crisi respiratoria che si verificò in maniera imprevedibile ed acuta solo nella fase "espulsiva".
 
La vicenda giudiziaria è stata lunga e complessa. Il padre e la madre del piccolo Nicolò sporsero denuncia. Il pm Antonio De Donno, aprì un inchiesta, acquisì le cartelle cliniche e dispose l'autopsia eseguita dal medico legale Alberto Tortorella. Al termine delle indagini, la Procura chiese l'archiviazione del procedimento. Successivamente, però il gip dispose un incidente probatorio e venne prodotta una nuova consulenza medica affidata al dottor Maurizio Bresadola, per attestare eventuali responsabilità di ginecologa ed ostetrica. Alla luce delle ulteriori indagini, il pm chiese il rinvio a giudizio di A.R. ed O.M., accolto dal giudice e si giunse al processo.
  
Nello specifico, secondo l'accusa, i due "camici bianchi" avrebbero omesso di effettuare l'analisi del monitoraggio cardiaco tra le 22: 38 e le 23:45 di quel tragico giorno di luglio di 6 anni fa. Inoltre, non avendo individuato i segnali di sofferenza del feto, i medici non avrebbero messo in atto alcune possibili opzioni terapeutiche, quali il parto cesareo. Inoltre, essi avrebbero potuto richiedere l'intervento del pediatra e dell'anestesista per provare a rianimare il feto. Infine, in base alla tesi accusatoria, A.R. ed O.M. avrebbero ritardato l'intubazione del neonato, non somministrando la terapia di bicarbonato di sodio che sarebbe servita ad evitare "l'acidosi metabolica insorta a seguito dell'ipossia intrapartum".



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