Tentata estorsione nel leccese, un’assoluzione ed una condanna con riduzione di pena per i due imputati

Il Gup Vincenzo Brancato, ha considerato la ‘tentata estorsione semplice’ per Francesco Lipari, 35enne leccese, soprannominato ‘Sogliola’ condannandolo a 2 anni, mentre ha assolto Antonio Calò 31 anni di Surbo. Erano accusati di aver chiesto il pizzo ad un’impresa edile.

Assoluzione piena e condanna con sconto di pena, nella sentenza di primo grado per i due imputati, accusati di aver chiesto un pizzo di 5mila euro ad un imprenditore edile dell'hinterland leccese. Il Gup Vincenzo Brancato, nel processo celebratosi con rito abbreviato "condizionato"al riascolto di un testimone, ha condannato a 2 anni Francesco Lipari, 35enne leccese, soprannominato “Sogliola”, ed ha assolto Antonio Calò, 31 anni di Surbo. Il giudice dell'udienza preliminare ha considerato la "tentata estorsione semplice", escludendo le aggravanti della "modalità mafiosa" (confermata in sede di Riesame) e del "concorso", oltre che la recidiva per i precedenti penali, nei confronti di Lipari. Riguardo la posizione di Calò, per il quale il Pubblico Ministero Massimiliano Carducci chiedeva la condanna per gli stessi reati di Lipari, il Gup ha disposto la piena assoluzione "per non aver commesso il fatto". Il PM nella requisitoria di questa mattina aveva invocato una pena di 6 anni e 6 mesi per Lipari e di 4 anni per Calò.

I difensori di Francesco Lipari, gli avvocati Giancarlo Dei Lazzaretti e Alessandro Stomeo sostenevano l'insussistenza dell'estorsione dal punto di vista "tecnico", anche perché strettamente vincolata alla testimonianza di un operaio del cantiere; quest'ultimo è stato risentito questa mattina, nell'ambito del rito abbreviato "condizionato" su loro richiesta, per dimostrarne l'inattendibilità.

Il difensore di Antonio Calò, l'avvocato Paolo Cantelmo nella sua tesi difensiva, affermava che il 31enne di Surbo era completamente all'oscuro del piano estorsivo di Lipari. Egli si era offerto di    dargli una prima volta un passaggio in macchina, in data 24 settembre, in una zona appena fuori Lecce (il cantiere dove avvenne la presunta richiesta estorsiva di Lipari), ma di non essere sceso da essa. Il giorno successivo, invece, mentre riaccompagnava "Sogliola" nelle vicinanze dello stesso luogo, essi avrebbero incrociato con la macchina un uomo (si tratterebbe dell'operaio, a cui Lipari avrebbe chiesto, se egli avesse riferito il "messaggio" al titolare). Il terzo giorno, infine, Calò accompagnò Lipari a ritirare la macchina in una autofficina e soltanto dopo, Lipari, secondo quanto sostiene l'accusa, si sarebbe recato, da solo, presso il cantiere.

Lipari e Calò furono arrestati il 17 dicembre scorso, poiché accusati di aver chiesto il pizzo ad un’impresa edile del leccese, incaricata dell’installazione di impianti idrici ed infrastrutture stradali.
I due, secondo l'accusa, si sarebbero recati una prima volta a bordo di una Bmw guidata da Calò, presso un cantiere impegnato nell'installazione di tubature commissionate dall'Acquedotto Pugliese; qui avrebbero chiesto ad un operaio, che risulterà essere il testimone chiave della vicenda, di riferire al titolare di preparare una busta gialla con all'interno 5.000 euro "per far mangiare gli amici".

Su Lipari poi peserebbe secondo il Pm, l'aggravante di aver formulato la richiesta estorsiva sottolineando la propria appartenenza ad un'associazione mafiosa intenzionata ad imporre la propria egemonia sul territorio, minacciando d'incendiare i mezzi presenti nel cantiere e di impedire il proseguo dell'attività lavorativa. Lo stesso operaio riferì agli inquirenti e l'ha detto anche oggi, che  Lipari e Calò si ripresentarono il giorno successivo sullo stesso luogo e dopo che Calò aveva seguito con la macchina l'operaio, nel corso della sua ispezione al cantiere, Lipari gli avrebbe chiesto nuovamente se avesse parlato con il titolare. Tra 90 giorni sono previste le motivazioni della sentenza e si conosceranno le eventuali "mosse" del Pubblico Ministero o della difesa.



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