Una ‘fabbrica’ di marijuana nel casolare abbandonato: clamorosa scoperta della polizia leccese

Il Reparto Prevenzione Crimine della Polizia leccese ha scoperto, dentro un casolare abbandonato, cioè che viene da essi stessi definita una vera e propria ‘fabbrica’ di marijuana con tanto di impianti d’irrigazione ed illuminazione alogena.

L’ottimo fiuto degli operatori di una pattuglia aderente al Reparto Prevenzione Crimine ha determinato una scoperta per certi versi sorprendente. Addirittura, in Questura viene definita come vera e propria fabbrica di marijuana. Similitudine che sostanzialmente ci sta tutta, considerando il complesso sistema di coltivazione: due vani con all’interno rispettivamente 128 e 80 piante dello stupefacente; in un’altra stanza, invece, vi era disposto un impianto di illuminazione alogena. Non solo. La droga veniva essiccata e, successivamente, impacchettata per essere – sostengono i poliziotti – venduta. Luogo dei fatti, un casolare abbandonato situato lungo la strada provinciale Lecce-Torre Chianca.

Mica tanto abbandonato, in fin dei conti. Le illecite operazioni – illustrate stamattina presso gli uffici di viale Otranto, dentro la Sala Arcuti, durante un’apposita conferenza stampa tenuta dal Comandante della Squadra Mobile, Sabrina Manzone, il vice-Questore Vito Montaluri ed il vice Questore aggiunto Eliana Martella – prendevano vita grazie ad un allaccio abusivo. Dunque corrente elettrica e irrigazione provenivano da linee esterne. Ciò è costata loro la denuncia, mentre invece in riferimento all’altra notevole attività a due ragazzi leccesi – nonostante abbiano dichiarato totale estraneità – si aggiunge un arresto con l’accusa di produzione di stupefacenti. Dovranno ora difendersi adeguatamente nelle sedi opportune.

La motivazione per cui nel mirino della polizia siano finiti entrambi i giovani, risiede nei risultati di una precedente perquisizione personale. Oltre a trovarli con alcuni grammi di hashish e marijuana, possedevano anche un manicotto di plastica e un mazzo di chiavi. Lo stesso mazzo di chiavi che, putacaso, apre il cancello dello stabile dentro cui si consumavano i lavori sopracitati. Ad insospettire ulteriormente gli stessi agenti, inoltre, sarebbe stato un tubo particolare da cui si poteva ascoltare il rumore dell’acqua che avrebbe poi innaffiato le piante, più avanti sequestrate.  



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