Si può vivere tutta una vita in un racconto? E in quella vita, tutte le stagioni, e la gioia e il dolore di una storia d’amore, e l’incanto e la malinconia di una felicità lontana?
Se quel racconto è “Inviti superflui” di Dino Buzzati, si può.
“Inviti superflui” – che fa parte della raccolta “Sessanta racconti” – ha la consistenza di un sogno. Un sogno che comincia una sera d’ inverno e termina in autunno. Si muovono, leggeri, due cuori attraverso un inverno di “strade buie e gelate”, e si fermano poi per battere, l’uno vicino all’altro, nel tepore di una stanza, dietro i vetri, a immaginare una felicità che è delle fiabe e solo alle fiabe può appartenere e a sentire palpitare “per la prima volta pazzi e teneri desideri”.
Impazzano poi, questi cuori, in un giorno uggioso di primavera “col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento” per poi perdersi, di domenica, tra quartieri di periferia. Da questo amore, vissuto per tutta una vita e nell’arco di un racconto, nascono “speranze che non si sanno dire” e in esso risuonano le “cose insensate, stupide e care” che dicono gli innamorati.
Giunge l’estate. I cuori si ritrovano a “contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne”. Guardano l’acqua che passa sotto un ponte di legno, tra “i segreti dei boschi”, intenti ad ascoltare le storie lontane, di voci, lontane che passano attraverso i “pali del telegrafo”.
Infine è autunno. Quasi giunge al termine il racconto, così come giunge al termine il giorno sulle “vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo”. E i due cuori passeggeranno presi per mano tra viali di foglie rosse e gialle, gremiti di gente che si volta a guardarli “non per invidia e malanimo” ma con un sorriso suscitato da un sentimento di tenerezza.
Ma il “tu” a cui, in questo racconto – in questa vita vissuta e sofferta nell’arco di una pagina – si parla è, ormai troppo lontano. Si prova a rincorrerlo ma è difficile da raggiungere, perché fatto solo della sostanza dei ricordi, un “tu” indistinto (“- Ti ricordi? Ma tu non ricorderesti”) come fumo ricoperto di una patina scintillante.
L’amore di “Inviti superflui” è qualcosa di lontano e finito. Eppure, ancora, si dimena e ritorna e lascia tracce. Terminando il racconto, si ha la sensazione di aver vissuto una vita intera, una sensazione di malinconia che, tuttavia, ci consente di sorridere.
Terminare la lettura di “Inviti superflui” è un po’ come la fine dell’estate: si guarda indietro con un filo di tristezza, sapendo che, però, tra un anno ritornerà.
Adele Errico ha consigliato per Leccenews24 la lettura de Lo straniero di Albert Camus, Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi, Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, Lolita di Vladimir Nabokov, Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, Moby Dick di Herman Melville, Il buio oltre la siepe di Harper Lee e Storia di Gordon Pym di Edgar Allan Poe.
