Smaltita la delusione per la finale persa con il Frosinone, che condannerà i giallorossi ad un altro anno di Lega Pro, a due giorni dalla sconfitta, è necessario fare una disamina, senza passione né pregiudizio, delle cause che hanno portato il Lecce alla seconda stagione fallimentare consecutiva.
Si parte dai Play Off. Certo, arrivati a questo punto ci sarebbe potuto essere un finale diverso, ma a parte ciò bisogna porsi una domanda. Capitan Miccoli e compagni hanno meritato di arrivare all’ultimo atto degli spareggi per l’accesso al Campionato Cadetto? Non bisogna dimenticare che, nelle prime due gare, i salentini sono stati nettamente polverizzati da Pontedera e Benevento e se sono riusciti a superare i primi due turni lo si deve esclusivamente al proprio estremo difensore Caglioni e alla tanta buona sorte che li ha accompagnati.
Capitolo Campionato. A parte lo scellerato inizio dovuto anche alle tantissime assenze per infortunio (su cui si ritornerà successivamente), va dato atto alla squadra di aver compiuto una rincorsa che l’ha portata dall’ultima posizione in classifica alla terza di fine Campionato ma, al tempo stesso, è necessario prendere coscienza del fatto che la compagine giallorossa, al momento di fare il salto di qualità che avrebbe potuto dare la vera svolta, ha clamorosamente steccato denotando limiti caratteriali evidenti. È accaduto contro il Frosinone in trasferta, quando, a seguito del pareggio ciociari dovuto ad un errore arbitrale, i calciatori hanno perso la testa porgendo il fianco agli avversari. Contro il Perugia in casa, quando, a pareggio raggiunto, un’ingenuità difensiva ha portato al nuovo vantaggio umbro. Con il Viareggio in trasferta, in una gara dove si è stati nettamente dominati da una formazione agli ultimi posti della classifica e, infine, nell’ultima giornata del Torneo, quando, la sconfitta meritata ad opera del Pisa è costata il secondo posto.
Per quel che concerne i giocatori, poi, è vero che tecnicamente la compagine salentina era molto forte ma, al tempo stesso, anche abbastanza anziana ed è per questo che nell’arco del Campionato in casa Lecce si è dovuto fare i conti con infortuni che hanno colpito quelle che sarebbero dovute essere le stelle della squadra. L’uscita di Miccoli dal terreno di gioco nel corso della finale è la fotografia esatta di ciò. È bastato uno scatto al capitano giallorosso per subire un guaio muscolare che lo ha costretto a rinunciare, ma vale lo stesso anche per Bogliacino, mai al top quest’anno, o Bellazzini martoriato da una lunghissima assenza, Martinez del quale si è dovuto fare a meno per un bel po’ e anche uno dei migliori, Beretta, nel corso dell’estate, era giunto in ritiro con un guaio fisico pendente sulla testa. Le altre formazioni, invece, forse dal punto di vista qualitativo saranno state pure inferiori, ma molto più giovani. La squadra di Stellone, per esempio, aveva un’età media, rispetto a quella di mister Lerda, di quarant’anni inferiore.
A questo punto ancora si deve decidere cosa sarà del futuro, da quale guida tecnica ripartire. Lo spettacolo andato in scena al “Matusa”, a prescindere da qualsiasi provocazione subita, non stato edificante. A quali giocatori affidarsi e, soprattutto, su quale progetto bisognerà fare affidamento, dal momento che, ad oggi, ciò che è sembrato maggiormente mancare è stata prorpio la programmazione.
“Il nostro modello sarà, facendo i dovuti distinguo, l’Udinese”, dichiarò due anni fa Antonio Tesoro al momento dell’insediamento della sua famiglia alla guida del Lecce. Ma una società in cui manca la figura del direttore sportivo e nella quale ci si incaponisce a non volerla prevedere, solo per fare un esempio, può aspirare a tanto?