L’orgoglio giallorosso è relegato oggi ad un livello così basso da tradire il glorioso blasone della squadra di calcio che, invece, negli ultimi quarant’anni si è imposta come una delle realtà di provincia più importanti e significative del calcio italiano.
Leggere la storia del Lecce a puntate è un modo semplice per riscoprire i valori perduti di uno sport che ha il merito di aver unito l’Italia, come nemmeno la Costituzione repubblicana ha saputo fare, ed è per questo allora che il pallone può e deve tornare ad essere un punto di riferimento a livello sociale e culturale.
Dagli anni della serie C, fino al mitico ’76, abbiamo imparato che nulla è scontato e che la fede sportiva non si regola in base alle categorie o ai capricci delle varie stagioni.
Sappiamo che la parte preponderante del calcio di oggi dipende dalle dirigenze, ecco perché bisogna essere eternamente grati e riconoscenti alla presidenza Jurlano prima e a quella Semeraro poi. Senza dirigenze di tale levatura non avremmo mai assaporato il calcio che conta, quello vero, quello che ci tiene legati al divano il sabato e la domenica. Una genetica che oggi appartiene anche al Lecce, che sogna infatti di rientrare fra i grandi.
Al gruppo Semeraro si deve il Lecce più rappresentativo della sua Storia, quello che ha fatto più serie A che serie B, quello che si vantava di avere una delle cinque o sei società più importanti d’Italia, dopo Juventus, Milan, Inter, Lazio, Roma e Napoli.
C’è poco da fare i meriti sono meriti, nonostante il feeling con la tifoseria sia mancato fin da subito. La magnifica gestione manageriale di Semeraro non sempre è stata accompagnata da una vena sentimentale in grado di condividere spirito e corpo della società di calcio. E’ mancata, insomma, quella dimensione popolare che avrebbe reso un tutt’uno tifosi, squadra, città e ambiente. Ma alla fine contano i risultati.
Con questa iniziativa editoriale Leccenews24 mira alla riscoperta dei protagonisti, quelli noti, quelli meno noti, quelli che sono passati alla Storia e quelli che sono passati in secondo piano, nonostante abbiano dato un contributo essenziale.
Rileggere le imprese del Lecce significa ricordare gli artefici di quelle imprese. Gli uomini che contano sempre più dei numeri, e, se ci consentite, anche più dei colori sociali. Le magliette sono sempre indossate da persone, non dimentichiamolo mai. Il loro vissuto, la loro esperienza sono la ricchezza del calcio a Lecce.
Un modo per parlare del calcio, quindi, ma soprattutto dei calciatori. I leccesi che hanno dato lustro allo sport di questa terra, senza aver giocato per forza di cose nel club giallorosso, ma per il semplice fatto di essere nati nel Salento.
Grandi personaggi come Franco Causio, campione del mondo con l’Italia di Bearzot nell’82 e pluriscudettato con la Juventus; Mimmo Renna, il primo leccese a vincere uno scudetto, nel lontano ’64 a Bologna e il primo allenatore professionista di successo, Antonio Conte, pluridecorato con la Juventus e oggi allenatore – fenomeno, invidiato da molti club per essere certamente il più bravo allenatore italiano in circolazione.
Questi insieme ad altri grandi come Aldo Sensibile, Mario Russo, Sergio Brio, Pasquale Bruno, Francesco Mileti, Claudio Luperto, Primo Maragliulo, Gigi Garzya, Checco Moriero, Gianluca Petrachi, Totò De Vitis, Robertino Rizzo, Roberto Miggiano, Fabrizio Miccoli.
Molti di loro hanno giocato in serie A, tutti almeno in serie B. Sono le nostre bandiere, e le ricorderemo tutte.
Domenica non perdete la seconda puntata della storia giallorossa con i capitoli relativi al Lecce di Lamberto Giorgis, Rino Santin, Bruno Mazzia, Gianni Di Marzio e Mariolino Corso, fin sulle soglie dell’era di Eugenio Fascetti.
Forza Lecce, sempre.
