Quelli del Benfica la chiamano la maledizione di Guttmann, ovvero l'incapacità e l'impossibilità di vincere una competizione internazionale dopo gli strali di un allenatore ungherese che se ne andò sbattendo la porta per non aver ricevuto un adeguamento di ingaggio.
Nel Salento, molto più modestamente, la si può chiamare la maledizione dei play off. Con quella di ieri, il Lecce ha perso la sua seconda finale consecutiva, ha perso insomma la gara decisiva vincendo la quale si sarebbe potuti ritornare tra i cadetti e gurdare da vicino quella Serie A alla quale i giallorossi hanno partecipato, senza sfigurare, per tanti anni.
Niente da fare, invece. Anche per l'anno prossimo il Lecce se la dovrà giocare in Lega Pro, un modo elegante di chiamare la serie C, una serie C rivoluzionata, tra l'altro, in cui Serie C1 e serie C2 si fonderanno insieme.
L'anno scorso fu un tal Kabine da Carpi a mandare in frantumi il sogno del Lecce. Quest'anno è toccato a tal Frara da Frosinone. Il risultato sempre lo stesso: l'undici salentino viene fatto fuori all'ultimo atto, quando tutto sembra destinato a concludersi per il meglio.
A dire il vero, poi, se l'anno scorso si arrivò fisicamente cotti e stracotti con Gustinetti in panchina, nella stagione in corso tutti erano convinti che gli uomini di Lerda si sarebbero fatti un sol boccone degli avversari. Non c'era nulla che faceva presagire la disfatta. Qualche avvisaglia c'era stata col Pontedera, quando "San Caglioni" e ben 8 penalty avevano riportato le giuste distanze tra i salentini ed i toscani. Ma quello che aveva deluso nella sfida del Via del Mare era stata la condizione fisica del Lecce, apparso troppo sottotono. La semifinale play off con il Benevento aveva portato un po' di buon umore e riacceso gli entusiasmi, ma anche lì all'andata si era ballato eccessivamente. L'andata della finale col Frosinone di Roberto Stellone si era aperta col gol di Papini e con un rigore solare negato a Beretta. Poi l'ingenuità difensiva e il pareggo laziale con l'autogol di Abruzzese su tiro di Gori.
Ieri, purtroppo, il sogno si è infranto al termine di tante piccole avvisaglie: gol di Beretta e festa sugli spalti, poi due occasioni per raddoppiare, poi l'infortunio di Fabrizio Miccoli, poi il pareggio di Paganini per l'ennesima distrazione difensiva (con colpa di tutti da Martinez a Lopez, passando per Diniz e Abruzzese), poi l'espulsione stupida della punta scuola Milan per una testata che si sarebbe potuto risparmiare. Beretta ha lasciato il Lecce in dieci a soffrire e ad arrancare. Peccato, perchè nel secondo temppo i giallorossi avevano iniziato bene e non erano sembrati sottotono. Ma giocare in dieci ha fatto uscire tutti i limiti. Si è giocato senza attacco, senza punte, con Bogliacino che tutto può fare tranne che spaventare i centrali avversari.
Il Lecce ha cominciato a rischiare: poteva subire il gol al 90' con Carlini, poi nel primo tempo supplementare con Viola. Poi ci ha pensato Caglioni sempre su carlini. Ma alla fine Frara ha fatto il suo dovere: del resto sembrava un assalto a Fort Apache, prima o poi il gol sarebbe stato segnato. Peccato, perchè se si fosse arrivati ai rigori, un Caglioni così in forma avrebbe speventato i calciatori del Frosinone.
Finisce col dramma di un tifoso laziale che cade nel vuoto e adesso è in coma, finisce con il fuoco nero di un'auto incendiata fuori dal Matusa, finisce con l'isterismo di Lerda, finisce con le lacrime degli ultrà giallorossi. Adesso è tempo di assorbire la scoppola, la triste mazzata. Del doman non v'è certezza e se ne parlerà in seguito. In questi frangenti sperare che restino i Tesoro sembra quasi il minimo sindacale a cui aggrapparsi per ricominciare.
