“Turismo nel Salento? Bello sì, ma per chi?”: la voce dei salentini tra orgoglio e stanchezza

Da uno spunto arrivato da un altro articolo ci siamo fatti una domanda diversa. E se sul turismo in Salento parlassero i salentini, spesso ospiti indesiderati a casa propria d’estate?

Dallo spunto arrivato da un altro articolo – pungente al punto giusto e scritto per rimanere in testa tanto da costringerti a pensare anche dopo aver chiuso la pagina – ci siamo fatti una domanda diversa. E se a parlare, per una volta, non fossero i turisti, gli esperti, i politici, ma i salentini? Quelli che il mare lo vedono anche d’inverno, che conoscono i vicoli quando sono vuoti e silenziosi. Chi questa terra la vive davvero. Tutto l’anno.

Ogni estate ci ritroviamo al centro del grande spettacolo del turismo nel Salento. Le spiagge affollate, i locali pieni, il traffico impazzito, le code ovunque. Quest’anno, però, qualcosa è cambiato. E si è notato.

C’è stata meno gente, meno movimento, meno entusiasmo. E meno illusioni, perché il calo si è sentito non solo nei portafogli, ma nell’aria stessa, nei sorrisi forzati di chi lavora nella stagione e sa che qualcosa si è incrinato.

Nel nostro pezzo – schietto, senza peli sulla lingua – abbiamo scritto: “Un territorio che aspetta settembre per capire se ha sbagliato, è già in ritardo. E un territorio che a ottobre ha già dimenticato tutto, è destinato a svuotarsi.” Parole vere, Che fanno male come una porta che sbatte in faccia proprio quando stavi per uscire. Parole che dobbiamo ascoltare.

Perché non basta più fare i conti delle presenze e degli incassi. Non possiamo limitarci a tirare la somma degli ombrelloni occupati o delle presenze nei B&B. Dobbiamo avere il coraggio di andare più a fondo, di porci le domande scomode che tutti evitano. Dobbiamo chiederci: che tipo di turismo vogliamo? Che futuro immaginiamo per questa terra? Chi ci guadagna, davvero, e chi ci rimette? Siamo disposti a fare scelte coraggiose, anche se scomode, per tornare ad accogliere senza snaturarci?

Il Salento è ancora bellissimo, un paradiso di luce, pietra e mare. Ma il Salento dei salentini, quello autentico, esiste ancora? Forse è il momento di pensare a un turismo che non ci consumi come un gelato al sole, ma ci arricchisca. Che non sia solo stagionale, ma sostenibile e rispettoso. Un turismo che non ci riduca a una scenografia estiva buona solo per i selfie, ma ci permetta di restare comunità viva e orgogliosa tutto l’anno. Che non si misuri solo in numeri, ma in qualità della vita. Anche per chi qui ci resta quando le luci si spengono e l’unico rumore che resta è quello del vento tra gli ulivi ormai ridotti a scheletri dalla Xylella a ricordarci che la bellezza non è eterna se non la proteggi.

Siamo solo comparse nel Salento da cartolina?

Ma attenzione: questo non vuole essere l’ennesimo articolo su “quanti turisti sono arrivati in meno”. Questo è uno sguardo da dentro. Il punto di vista di chi questa terra la abita, la ama, la sopporta, la difende e spesso la subisce.

Siamo felici del turismo? Sì. Ma siamo anche stanchi, esasperati, disillusi.
Il turismo ha portato ricchezza, lavoro, attenzione. Ha cambiato le nostre città, risvegliato i centri storici, dato nuova vita a paesi che rischiavano l’abbandono. Ma ha anche cambiato il modo in cui viviamo il Salento.
In estate, molte volte, ci sentiamo stranieri a casa nostra, ospiti indesiderati. Parcheggi introvabili, prezzi alle stelle, strade bloccate, luoghi del cuore diventati “attrazioni da Instagram”.

E va bene così? Forse no.
Perché non è solo questione di “turisti maleducati” o “posti sovraffollati”. È che non c’è stato un vero equilibrio. Il turismo è esploso, ma la gestione è rimasta artigianale. È mancata una visione. È mancata una guida.
E adesso che i numeri iniziano a calare, la verità viene a galla.

Perché non ci abbiamo pensato prima?

Come salentini, abbiamo accettato – forse troppo in fretta – la trasformazione del nostro territorio in un prodotto da vendere. Abbiamo sorriso mentre le case del centro diventavano B&B, mentre i lidi aumentavano i prezzi, mentre l’“esperienza autentica” diventava un pacchetto da rivendere ai tour operator.
Abbiamo visto sparire botteghe, artigiani, storie. E in cambio? Tanti soldi (per pochi), tanti fastidi (per molti) e pochissima programmazione per il futuro.

Ora, con l’estate che segna un passo indietro, ci accorgiamo che forse abbiamo perso qualcosa di più prezioso dei turisti: l’identità.

Ma allora cosa vogliamo?

Il turismo può essere una risorsa meravigliosa. Ma quello che ci chiediamo è: perché non possiamo avere un turismo intelligente? Perché non possiamo pretendere che il Salento sia valorizzato per ciò che è, e non solo per ciò che si può vendere?

Un turismo sostenibile, rispettoso, che non gonfi i prezzi al punto da farci sentire stranieri a casa nostra. Un turismo che non costringa i giovani a scegliere tra l’emigrazione o il lavoro stagionale sottopagato. Che non riduca la nostra bellezza a una cartolina usa e getta.

Il dibattito è aperto. Abbiamo bisogno di parlarne. Di smettere di accontentarci delle briciole estive e iniziare a pensare a lungo termine. Di ricordare che il Salento non è una destinazione: è una comunità. La nostra.