La Chiesa madre di Minervino di Lecce, un gioiello rinascimentale con un tocco di barocco

Il rosone e la campana Maria Rosaria: la Chiesa madre di Minervino di Lecce, dedicata a San Michele Arcangelo, è un gioiello di arte ricco di storie. E poi può vantarsi di essere stata costruita da Gabriele Riccardi e dal suo allievo Giovanni Maria Tarantino.

I turisti in vacanza nel Salento restano ammutoliti davanti alla raffinata bellezza del barocco con i suoi ricami in pietra leccese, il “marmo dei poveri” diventato prezioso. Tra l’incredulità e lo stupore, ammirano piazze, chiese e palazzi con i suoi piccoli gioielli che la mano dell’uomo ha reso straordinari. Un incanto che va scoperto angolo dopo angolo, quando il sole batte forte e la città si colora di oro o quando, al tramonto, le ombre consentono di osservare anche quei dettagli delle nobili decorazioni che sfuggono alla luce abbagliante del giorno.

Lecce, al calare del sole, indossa l’abito da sera e mostra tutta la sua sofisticata eleganza, ma chi pensa che il barocco sia tutto racchiuso nel cuore del suo centro storico si sbaglia. Una testimonianza, forte e chiara, si può leggere sulla facciata della chiesa madre di Minervino di Lecce, dedicata a San Michele Arcangelo, che può vantarsi di essere stata costruita da Gabriele Riccardi e dal suo allievo, Giovanni Maria Tarantino.

Se Riccardi, che ha progettato la basilica di Santa Croce, gode di una meritata fama, lo stesso non si può dire di Tarantino, che le firme apposte nei documenti farebbero credere poco più che analfabeta. Pare che sia stato durante la costruzione della Chiesa di Minervino, un «capolavoro del rinascimento» come è stata definita, che tra l’anziano architetto e il giovane scultore scattò la scintilla. A nessuno, all’epoca, sembrava importante raccontare quell’incontro tra l’affermato maestro e l’illetterato magister locale, meno noto, ma non meno interessante che avrebbe un’importanza straordinaria nel panorama dell’architettura rinascimentale. Così quel passaggio di testimone tra due generazioni resta solo un’affascinante ipotesi, sussurrata e mai scritta in nessun documento.

Resta (e tanto basta) ciò che i due autori hanno lasciato sia nell’abside, autentico gioiello di architettura e scultura, costruita da Ricciardi, che nella navata centrale di Tarantino.

Il rosone

Passeggiando per il paese, conosciuto per il Dolmen, è impossibile non notare il rosone. Il barocco è tutto lì, sulla facciata solenne e armonica. L’autore che ha “disegnato” tanta perfezione è sconosciuto, il suo nome è stato cancellato dal tempo e dalla memoria, ma le innegabili somiglianze con quello della basilica di Santa Croce farebbero pensare che a scolpire la meraviglia di Minervino sia stata la stessa mano, quel Zimbalo che con Penna ha creato il raffinato ricamo in pietra di Lecce.

Il rosone è formato da quattro fasce. La prima, la più esterna, è una corona di foglie di alloro lanceolate. La seconda ospita fiori di melograno, simbolo di abbondanza e prosperità. Nella terza si alternano i volti degli angeli che reggono con la bocca pesanti festoni, la quarta scolpita a foglie di acanto, simbolo di resurrezione, accoglie l’ampia vetrata. Le dimensioni sono imponenti: non si direbbe, ma ha un diametro di circa cinque metri e mezzo. Anche la profondità è notevole, dalla vetrata di due metri e mezzo alla cornice esterna vi sono almeno un paio di metri.

La Minerva, la campana della gente

La chiesa non era come la si può vedere oggi. Nel 1538, Mons. Fabrizio De Capua, arcivescovo di Otranto, ordinò al popolo di restaurare la Chiesa, mal ridotta, imponendo ai cittadini di sistemare il fonte battesimale in pietra, di rimuovere due altari secondari considerati “ingombranti” e di dare all’edificio la classica forma a croce latina includendo la Cappella dedicata San Rocco. In caso contrario l’avrebbe fatta chiudere. Alla fine del secolo scorso è stata riportata al suo antico splendore. Durante i lavori di restauro si decise di rimuovere gli stucchi barocchi che sfarzosi e prepotenti ricoprivano le pareti e la volta dell’edificio per restituire al luogo di culto quell’antica grazia e eleganza.

Bella lo era e bella è ancora come affascinante è la storia legata alla campana più grande delle tre di cui il campanile è provvisto che la gente del posto considera prodigiosa tanto che, ancora oggi, quando diluvia suona perché i rintocchi, dicono, allontanano “lu maletiempu” il maltempo.

Quando diluvia a Minervino di Lecce si suona la campana, i rintocchi “allontanano” il temporale

Un giorno, nel 1983, tra lo stupore e l’incredulità, la voce della “Minerva” – o “Maria Rosaria” come era stata soprannominata amichevolmente – non fu più la stessa. Per circa due secoli aveva scandito il tempo, rassicurando i cittadini, era anche ‘scampata’ alla seconda guerra mondiale, grazie al coraggioso intervento del parroco dell’epoca Don Rocco Santoro che si oppose alla confisca del regime, ma quel giorno il suono del particolare metallo – il bronzo unito all’oro delle fedi che furono donate dalle donne del posto, insieme alle altre cose preziose che avevano in casa – fu diverso. Che fare? Fu chiamata una ditta specializzata di Brescia che raggiunse Minervino per valutare il da farsi. La campana fu fatta a pezzi, rifusa, nello stesso anno, e collocata al suo posto. Continua, con il suo inconfondibile suono, a scandire la vita della comunità, nei giorni di festa e di dolore, e in caso di maltempo.

La finestra ‘scomparsa’

La Chiesa nasconde anche un’altra curiosità. Nel 1858 la famiglia Scarciglia, che abitava nel palazzo accanto, chiese di poter aprire un coretto, con una grata, per poter assistere alle celebrazioni in caso di maltempo o malattia. Insomma, di poter avere una finestra personale che si affacciava all’interno del luogo di culto. In cambio del privilegio, marito e moglie, si impegnarono a tenere accesa una lampada davanti al SS.mo Sacramento e di costruire, a proprie spese, una nuova sacrestia. Il permesso fu accordato e la finestra restò aperta fino alla morte dei due nobili coniugi, Giuseppina e Luigi.

La Chiesa racconta anche un’altra curiosa storia: all’esterno si possono leggere numerose iscrizioni. No, non è l’opera di qualche maleducato che non ha rispetto, ma sono graffiti degli antichi abitanti per ‘ricordare’ eventi eccezionali, le nevicate fuori stagione.

La luce dell’equinozio

Poiché la Chiesa è perfettamente orientata ad est, il sole illumina la facciata e il rosone fino al tramonto, ma durante gli equinozi di primavera e di autunno accade qualcosa di magico: il sole, al tramonto, illumina perfettamente il centro dell’abside, nel rettangolo centrale dove un tempo era collocato il crocifisso.

* Ringraziamo il parroco, don Antonio Cagnazzo per le preziose e scrupolose informazioni.