La collina delle Ninfe e dei fanciulli, dove gli ulivi erano pastori e le pietre erano sacre

La collina delle Ninfe e dei Fanciulli a Giuggianello è un fazzoletto di terra ricco di leggende. Storie di ninfe e di fanciulli, vecchie streghe e orchi

Gli ulivi “protetti” dai muretti a secco non ci sono più. Degli alberi secolari che lasciavano ammutoliti i passanti per la loro imponenza resta ben poco se non rami secchi, rossi come la terra su cui affondano le loro radici. Le storie che custodivano quei monumenti della natura, però, resistono ancora. Se tendi bene l’orecchio senti ancora le leggende tramandate dai contadini che in quel fazzoletto di terra hanno lasciato fatica, lacrime e sudore.

La «Collina delle Ninfe e dei Fanciulli» a Giuggianello – il più piccolo paese del Salento – custodisce un patrimonio di inestimabile valore. Quel luogo di fiabe ne ha ispirate tante, sorte tutte in un lembo di terra di pochi chilometri da Minervino di Lecce e Palmariggi. Non esiste in Puglia (forse) un posto così legato alla tradizione, così ricco di miti e racconti come quell’uliveto a due passi dalla Grotta di San Giovanni.

Storie di Ninfe e di striare

Considerata non solo in Italia, ma anche al di fuori dei confini della nostra penisola, di pari importanza alla più famosa “Stonehenge” grazie ai suoi dolmen, menhir e rocce sacre, questa zona è un luogo di leggende e di suggestioni che hanno come protagonisti orchi e ninfe, fantasmi e diavoli, vecchie fattucchiere e folletti (“scazzamurieddhi”), ma anche eroi come Ercole e santi come San Giovanni Battista e San Basilio (“Santu Vasili”), narrate da autori greci e latini antichi, come dalla gente comune.

Il più antico passo scritto in cui si accenna ai miti che aleggiavano intorno alla Collina è attribuito allo scrittore Nicandro di Colofone nel II sec. a.C. .

«Si favoleggia che nel paese dei Messapi presso le cosiddette “Rocce Sacre” fossero apparse un giorno delle ninfe che danzavano e che i figli dei Messapi, abbandonate le loro greggi per andare a guardare, avessero detto che sapevano danzare meglio. Queste parole punsero sul vivo le ninfe e si fece una gara per stabilire chi sapesse meglio danzare. I fanciulli, non rendendosi conto di gareggiare con esseri divini, danzarono come se stessero misurandosi con delle coetanee di stirpe mortale. Il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori; quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema. Esse trionfarono sui fanciulli nella danza e rivolte ad essi dissero: “Giovani dissennati, avete voluto gareggiare con le ninfe e ora che siete stati vinti ne pagherete il fio”. E i fanciulli si trasformarono in alberi, nel luogo steso in cui stavano, presso il santuario delle ninfe».

Anche Ovidio, un secolo più tardi, racconta una versione diversa della storia, ma analoga nell’esito. E ancora oggi, la notte, c’è chi giura di sentir uscire dai tronchi una voce, come di gente che geme. Per questo viene chiamato il luogo “Delle Ninfe e dei Fanciulli” per quella leggenda ancora raccontata nei paesi vicini, trasmessa di padre in figlio.

A Minervino, in un passato neanche tanto lontano, i contadini vietavano ai loro figli di recarsi nel campo dei grandi massi poiché lì, si favellava, «possono apparire le “fate”», creature femminili di estrema bellezza che capaci di “stregare”.

I “Massi della Vecchia”

Ricca di fascino è la leggenda secondo cui il sito era la dimora di una vecchia strega “la striara” che, al tramonto del sole, lanciava le sue “macarie” contro coloro che osavano profanare quel luogo. Un’altra racconta di una strega cattiva che si divertiva a trasformare in pietra tutte le persone che, osando sfidarla, non riuscivano a rispondere alle sue domande. Per ‘attirarle’ nella trappola prometteva, in caso di risposta corretta, un gallina in grado di fare uova d’oro.

Nessun sito megalitico al mondo come Giuggianello può vantare racconti trasmessi da fonti letterarie così antiche, come accaduto per le rocce sacre del Colle dei Fanciulli e delle Ninfe.

Lì, in questo luogo magico, fino all’arrivo della xylella fastidiosa i vecchi ulivi mormoravano storie. Ora tocca alle pietre mantenere viva la tradizione. Al Piede di Ercole, l’impronta lasciata per andare a sconfiggere i Titani. Al  Furticiddhru de la Vecchia, l’arcolaio con cui la moglie di ‘Orcu Nanni’ fila mentre decide le sorti dei contadini, Lu Lettu e l’acchiatura, il tesoro nascosto consistente in una chioccia e 7 pulcini d’oro.



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