Barbarano del Capo, il gioiello di Leuca Piccola e il ‘monito’ delle 10P

Il Santuario di Santa Maria di Leuca del Belvedere, la “Leuca piccola”, è un gioiello alla periferia di Barbarano, un luogo di ristoro e preghiera per i pellegrini diretti al Santuario de Finibus Terrae.

La periferia di Barbarano del Capo, un piccolo borgo, frazione di Morciano di Leuca, nasconde un tesoro, forse poco conosciuto, ma di grande fascino. Un appeal rimasto intatto nel corso dei secoli. È «Leuca piccola» così chiamata dalla gente del posto perché, in passato, era un punto di riferimento per i pellegrini che cercavano un “riparo” prima di arrivare alla “fine della terra”, al Santuario di Santa Maria di Leuca, primo passo secondo la leggenda per accedere al paradiso.

Un gioiello architettonico, uno scrigno di storia e di preghiera, una sorta di arcaico “albergo per viandanti” datato tra il 1685 e il 1709 e costruito per volere del barone del posto, il benefattore Don Annibale Capece. Era appena chiuso il capitolo delle “indulgenze” della Santa Chiesa e ristrutturare vecchie cappelle e di costruirne delle nuove era un modo per redimersi dai peccati.

Nel complesso monumentale, in cui padroneggia in tutta la sua bellezza il santuario di Santa Maria del Belvedere , non mancava nulla. La chiesetta per la preghiera, impreziosita da numerosi affreschi che arricchiscono le pareti, tutti dedicati ai Santi più cari alla tradizione popolare (San Lazzaro, Sant’Oronzo, Santa Barbara, San Francesco da Paola, Santa Marina, Santa Lucia, San Pasquale, San Gennaro, San Leonardo ed i quattro Evangelisti). Fu “ampliata” da Don Annibale che, partendo dalla cappella mariana già esistente, creò un imponente pronao in stile neoclassico, con due lapidi in pietra leccese.

Bellissima anche la sacrestia, con tanto di confessionali interamente ricavati nelle mura della chiesa, una rarità. Da una scala, stretta e ripida, si arriva al “fortino”, un luogo sicuro, dove trovare rifugio dai pericoli in caso di incursioni di turchi e saraceni.

Un luogo di accoglienza, dove tutti potevano trovare ospitalità

Nella corte, un’altra scala conduce ai “sotterranei”, una grotta scavata dall’uomo, dove i devoti potevano riposare prima di riprendere l’ultima tappa del loro viaggio religioso. Sono presenti, infatti, delle “cuccette” ricavate nella roccia. Completano il quadro tre pozzi, già esistenti, dalle acque freschissime, dove i pellegrini potevano dissetarsi.

C’era tutto, come detto, quindi anche un mercato per il commercio dei beni di prima necessità. Oggi sono rimasti solo visibili sette dei dieci archi di una struttura destinata al ricovero degli animali con annesse mangiatoie, i magazzini per il deposito merci e l’antica officina del maniscalco. Dell’antico palmento (frantoio del vino), invece, non c’è traccia, tranne per qualche rudere, come della locanda. Legata all’osteria è la famosa “Lapide delle 10P“. «Prima Pensa, Poi Parla. Perché Parole Poco Pensate, Portano Pena». Una sorta di ‘monito’ per i pellegrini, per invitarli a non alzare troppo il gomito.

Si dice che l’imponenza del complesso ha tratto in inganno molti pellegrini che, convinti di essere arrivati al Santuario di Finibus Terrae, riprendevano la strada del ritorno dopo aver riposato.

Come spesso accade quando non si capisce il patrimonio inestimabile che ci è stato tramandato, anche questo monumento è finito nel dimenticatoio, per molto tempo. Poi è stato recuperato, grazie alla tenacia dell’amministrazione comunale.

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