Il Molo di Adriano, a San Cataldo la storia riaffiora dal mare

Il molo di Adriano, riaffiorato nelle acque cristalline di San Cataldo, prende il nome dall’imperatore che lo fece costruire… o ricostruire.

San Cataldo era, e forse lo è ancora, un rifugio sicuro per i leccesi, d’estate come d’inverno. La marina a pochi passi dalla città vanta un passato glorioso, non solo perché era il cuore della movida, quando ancora Gallipoli, Otranto o Porto Cesareo non erano diventate le regine dell’estate, ma anche per la sua storia. Per conoscerla, tocca portare indietro le lancette dell’orologio al II secolo d.C.

Il molo di Adriano

Un tratto di spiaggia all’ombra del vecchio faro custodisce, come uno scrigno, un tesoro. È il molo di Adriano, dal nome dell’imperatore romano che lo ha fatto costruire o ricostruire sui resti di un porto più antico, come vuole uno studio recente che lo retrodata all’età augustea. Lì, proprio lì, sarebbe sbarcato – secondo alcune fonti letterarie – Ottaviano, di ritorno da Apollonia. Diretto a Roma dopo aver appreso la notizia della morte di Cesare, nel 44 a.C. – secondo le parole di Nicola Damasceno – l’imperatore arrivò sulle coste del Salento e si mise in viaggio a piedi da Lecce. Ma questa è solo una delle pagine di storia che il molo racconta con le sue rovine.

Certo è che il vecchio porto, citato anche dallo storico e viaggiatore greco Pausania, era un punto di riferimento per le navi di passaggio. Con la sua posizione strategica, a pochi km dalla fiorente Lupiae, a metà tra Otranto e Brindisi come un ponte naturale tra Oriente e Occidente, consentiva di dominare le rotte, diventando teatro di numerosi scambi commerciali. Non solo, offriva “protezione”, in caso di burrasca. Durante le tempeste, come scritto da Pausania, la struttura doveva fornire un ancoraggio sicuro alle imbarcazioni che solcavano il mare.

Nel medioevo lo scalo – costruito “a cassone” con una tecnica riportata da Vitruvio nel De Architectura – era ancora utilizzato. Lo testimonia il ritrovamento di anfore e altri oggetti legati alla navigazione. Un Liber peregrinationis narra lo sbarco qui, nel 1395, di un gruppo di pellegrini di ritorno dalla Terra Santa.

Della sua imponenza e del suo glorioso passato oggi resta ben poco, solo alcuni blocchi di pietra riaffiorati dall’acqua raccontando quello che è stato. Pochi metri di struttura muraria che hanno resistito al passare del tempo, all’erosione costiera e agli atti di vandalismo. Ciò che di più straordinario si conserva dell’antica struttura sfugge agli occhi dei visitatori della marina di San Cataldo.

La roccaforte di Maria d’Enghien

Dimenticato, il Porto di Adriano riconquistò bellezza e fortuna, grazie alla contessa di Lecce, Maria D’Enghiein, che nel 1400 ampliò il molo e fece costruire la torre, facendone una vera e propria fortezza a picco sul mare. A San Cataldo fu offerta una nuova opportunità di riscatto.

Alla fine del XVII secolo, a causa della scarsa sicurezza della baia soggetta ad insabbiamenti, il molo fu abbandonato e la marina diventò «una semplice ed aperta spiaggia, esposta a tutte le intemperie».

Nella seconda metà dell’Ottocento, anche grazie alla legge Beccarini del 1882 sulle bonifiche delle paludi e dei terreni paludosi, il recupero del vecchio «Porto Adriano» divenne obiettivo primario dell’ allora amministrazione di Lecce, nel tentativo di competere con la vicina Brindisi che, grazie anche all’arrivo della ferrovia, viveva in quel periodo una fase di grande sviluppo urbanistico e demografico.

Ma un conto sono i ‘progetti’ un conto è la realizzazione. Bisognerà attendere i primi anni del 900 per veder realizzato il nuovo molo, costruito sui resti del porto romano. Ma non ebbe la stessa fortuna del passato.
San Cataldo attende di tornare ad essere la marina di Lecce per eccellenza, con il suo romantico faro, con i resti di un porto antico che deve essere valorizzato.

Immagine di copertina Daniela Stabile



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