“Avrebbero cagionato la morte Abdullah Muhamed per negligenza, imperizia, inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”. Il pm Paola Guglielmi, nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, espone l’accusa di omicidio colposo nei confronti del datore di lavoro e del responsabile dei campi situati tra Nardò ed Avetrana, in cui trovò la morte il bracciante sudanese, quel tragico 20 luglio del 2015.
I due indagati hanno venti giorni a disposizione per chiedere di essere interrogati o produrre memorie difensive. Successivamente, il pm stabilirà se chiedere il rinvio a giudizio o archiviare il procedimento.
Giuseppe Mariano, 79enne di Porto Cesareo,”non avrebbe effettuato la necessaria visita medica, da parte di un medico competente che potesse accertare la capacità del lavoratore in rapporto alla propria salute e sicurezza ed in relazione al proprio pregresso stato di salute”. Infatti, Abdullah Muhamed morì per aritmia maligna “in soggetto già affetto da polmonite ad impronta emorragica”.
Mariano e Mohamed Elsalih (detto Sale) avrebbero poi permesso lo svolgimento dell’attività lavorativa per 10/12 ore al giorno in condizioni meteorologiche sfavorevoli per il caldo torrido. Inoltre, la Procura contesta agli indagati la mancanza di: un presidio medico come la cassetta di primo intervento; dispositivi di sicurezza come un copricapo per difendersi dalle insolazioni, guanti e scarpe; erogatori di acqua potabile.
Mariano ed Elsalih rispondono dell’ipotesi di reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro). Avrebbero, infatti, svolto l’attività di reclutamento e permesso l’attività lavorativa, perlopiù di immigrati sudanesi “in condizioni di assoluto sfruttamento”. Soprattutto, sottolinea il pm Guglielmi “approfittando dello stato di necessità, vulnerabilità derivante dallo loro inferiorità psicologica, trattandosi di immigrati privi di adeguate conoscenze della lingua italiana e dal timore di perdere l’unica fonte di sostentamento”.
Elisalih era addetto al trasporto dei lavoratori sui campi, alla divisione in squadre e al controllo dei cassoni che dovevano essere riempiti di pomodori (gli operai veniva retribuiti in base al numero di ortaggi raccolti). Avrebbe svolto il ruolo di superiore gerarchico con “prevaricazione” nei confronti degli operai.
Mariano avrebbe, invece, retribuito i lavoratori con compensi da fame, avvalendosi di prestazioni spesso in nero ed in condizioni atmosferiche estreme, senza riposo settimanale, per poi, continua il pm Guglielmi, “immettere il prodotto finale nel mercato al prezzo corrente, con un maggiore guadagno per il titolare dell’azienda”.
A tal proposito gli uomini del Ros, guidati dal Comandante Gabriele Ventura e i colleghi del Comando Provinciale dei Carabinieri, diretti da Giampiero Zanchi, hanno cercato di ricostruire la cosiddetta “filiera”. Dunque, hanno svolto nel corso delle indagini, accurati accertamenti per verificare la destinazione finale del prodotto.
Gli uomini del Ros hanno inizialmente accompagnato l’attività investigativa del comando provinciale, effettuando accertamenti sul traffico telefonico della vittima. Sarebbero emersi importanti riscontri sui rapporti lavorativi in odor di “caporalato” con i due indagati.
Successivamente su Delega della Procura si è provveduto all’acquisizione documentale di bolle di accompagnamento e fatture per il trasporto delle merci, al fine di ricostruire la filiera.
I pomodori erano destinati ad importanti imprenditori attivi nell’industria conserviera, sia in Puglia che in altre Regioni italiane. Una di queste fabbriche farebbe capo ad una grossa azienda nazionale.
Al termine degli accertamenti, occorre sottolineare, non sarebbe però emersa da parte di questi imprenditori, alcuna consapevolezza delle condizioni di lavoro disumane dei braccianti agricoli, impegnati nella raccolta dei pomodori.
