Pastore albanese colpito a morte da un proiettile. Il pm chiede la condanna a 25 anni per il presunto responsabile

Giuseppe Roi, 41enne di Porto Cesareo (datore di lavoro del giovane pastore), accusato della morte di Qamil Hyraj, risponde del reato di omicidio volontario con dolo eventuale

Chiesta la condanna a 25 anni di reclusione per Giuseppe Roi, accusato della morte del giovane pastore albanese, Qamil Hyraj e che risponde del reato di omicidio volontario con dolo eventuale.

In mattinata, si è tenuta la requisitoria del pubblico ministero Carmen Ruggiero, dinanzi ai giudici della Corte d’Assise (presidente Pietro Baffa, a latere Maria Francesca Mariano e giudici popolari).

Il pm ha innanzitutto affermato che: “è emersa la prova della responsabilità al reato contestato e che si è trattato di un gioco macabro per produrre un divertimento, impaurendo il povero Qamil”. Un gioco poi sfociato nel sangue, con la morte del pastore. “Giuseppe Roi ha ucciso Qamil. Non solo, poiché ha fatto sparire le tracce dell’omicidio. Ma ha commesso un errore cioè di riferire al 118 che il pastore era stato attinto da colpi di arma da fuoco”. Ed ha aggiunto il pm che: “L’omicidio non è stato frutto di negligenza, ma la cronaca di una morte annunciata”. Roi non ha agito nel dubbio ma nella certezza della presenza di Qamil. Era pronto a pagare il prezzo per la morte del pastore”.

Quindi sono state ascoltate in aula due telefonate al 118 effettuate da Giuseppe Roi, 41enne di Porto Cesareo, acquisite nel corso delle indagini. Quest’ultimo informava l’operatore di due circostanze. Anzitutto che il padre aveva rinvenuto il corpo. Eoi che il pastore era stato attinto da colpi di arma da fuoco. Ma sia la polizia giudiziaria che il medico legale non hanno potuto constatare ciò. Inoltre, nella seconda telefonata, di fronte alla domanda sulla condizione del cadavere, diceva con ansia che non era stato lui a trovare il corpo.

Successivamente, come ricostruito dal pm in aula, sopraggiungono i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce. E rinvengono il frigorifero su cui vi erano quattro fori allineati.

Il medico legale Roberto Vaglio ha chiarito che il cadavere, ritrovato in posizione supina, aveva la fronte piena di sangue e solo in seguito ad ulteriori accertamenti, ha potuto rivenire un foro. Inoltre, il colpo sarebbe stato esploso parallelamente al terreno, con la vittima che guardava lo sparatore.

E poi, il rinvenimento dell’ogiva ha permesso un accertamento balistico, ma non veniva stabilita con certezza l’arma.  La traiettoria del proiettile avrebbe trapassato il frigorifero.

Poi è stato sentito a sommarie informazioni un testimone che ha individuato il punto in cui aveva sparato il responsabile. Determinante è stata la testimonianza di un altro pastore che avrebbe raccontato ai militari dell’abitudine di Giuseppe Roi di sparare contro bersagli a caso, come un bidone bianco sparito, ma di cui è stata trovata traccia all’interno della masseria.

La Procura ha inoltre “smontato” la tesi del padre di Giuseppe Roi che ha affermato come l’omicidio sia da ricollegare ad un furto di pecore finito male.

Il pm si è poi soffermato su quanto accaduto nella scorsa, udienza, affermando come la ricostruzione del consulente della difesa non sia attendibile e che non vi sia la prova che il colpo sia stato esploso da una carabina. Sono stati ascoltati, l’ex comandante dei Ris, Luciano Garofano e il professore Martino Farneti, esperto in balistica forense. Questi, analizzando una serie di diapositive proiettate in aula, hanno sostenuto che non si trattò di omicidio volontario e che i colpi di carabina furono sparati da una persona in macchina. I due consulenti hanno sottolineato come l’intento dello sparatore (non era Giuseppe Roi) fosse quello di colpire il frigorifero, come dimostrano le traiettorie dei colpi esplosi. Inoltre, la vegetazione presente all’interno del giardino, “offriva ampie garanzie di sicurezza, non potendosi immaginare che un secondo colpo potesse oltrepassare la fitta maglia rappresentata dalla vegetazione esistente all’epoca dei fatti”.

Successivamente hanno discusso i legali delle parti civili, che si sono allineati alla richiesta di condanna avanzata dal pm. I familiari della vittima, il 24enne Qamil Hyraj, sono assistiti dagli avvocati Ladislao Massari e Uljana Gazidede.

Ed ha concluso l’udienza, l’avvocato Giuseppe Romano, legale di Roi, il quale ha sottolineato come dalle risultanze dibattimentali sia emerso che l’intero impianto accusatorio si fondi su congetture e sospetti, privi di fondamento. Nello specifico, la difesa ha sostenuto come non sia stato accertato l’orario della morte del pastore, aspetto fondamentale per poter valutare l’eventuale alibi di Roi. E poi, non si è formata la prova che egli fosse sul luogo del delitto al momento dei fatti. E ancora, non è stata accertato con sicurezza la tipologia di arma.

Il processo è stato aggiornato al 19 aprile, quando è prevista l’arringa difensiva dell’avvocato Francesca Conte e la sentenza della Corte d’Assise.

Invece, nei mesi scorsi si è svolta un’udienza insolita nelle campagne tra Torre Lapillo e Torre Castiglione. Una “trasferta” per i giudici della Corte d’Assise che hanno celebrato il processo proprio sul luogo del delitto.

Ricordiamo che nei mesi precedenti, si era tenuta una nuova udienza preliminare. Il giudice aveva rinviato a giudizio Giuseppe Roi. Dunque era stata accolta la richiesta del pm Carmen Ruggiero che ha ribadito la richiesta (già formulata in aula nel corso del primo dibattimento) di riqualificazione del reato di omicidio colposo in omicidio con dolo eventuale.

Occorre ricordare che nell’immediatezza dei fatti, il pm contestò a Giuseppe Roi il reato di omicidio volontario. Il collegio difensivo si oppose fin da subito, facendo riferimento agli esiti degli accertamenti balistici degli specialisti e chiese la riqualificazione del reato in omicidio colposo. L’istanza venne accolta dai giudici del Riesame e poi dal pm Giuseppe Capoccia (inizialmente titolare dell’inchiesta) ed infine dal gup al termine dell’udienza preliminare. In seguito, però, nel corso del dibattimento, il pm Ruggiero ritenne di ribadire l’accusa di omicidio volontario.

E in seguito si celebrò una nuova udienza preliminare, davanti al gup Edoardo D’Ambrosio che rinviò a giudizio Giuseppe Roi per il reato di omicidio volontario.

Ricordiamo che, il 6 aprile del 2015, intorno alle 12:55, nelle campagne fra Torre Lapillo e Torre Castiglione, fu ritrovato il cadavere di un giovane pastore albanese, Qamil Hyraj. Il 24enne era stato ‘freddato’ da un colpo di arma da fuoco sparato ad altezza d’uomo. Sette mesi dopo, venne il suo datore di lavoro e amico, Giuseppe Roi, proprietario di un’azienda ovicola venne arrestato poiche accusato di avere sparato due colpi di pistola ad altezza d’uomo, uno dei quali si rivelò fatale. Il primo colpo come rivelato dai rilievi balistici effettuati, avrebbe trapassato l’elettrodomestico da parte a parte richiamando “l’attenzione” di Hyraj che, in quel momento, stava guardando il gregge. Il ragazzo si sarebbe voltato ed è lì che sarebbe stato raggiunto da un secondo colpo.

 

 

 

 



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