Deja vu – Ultimo Atto. In ginocchio la Sacra Corona Unita modello ‘Provenzano’

Associazione mafiosa, spaccio di stupefacenti, detenzione e porto di armi, lesioni e minacce: sono questi i reati, a vario titolo contestati, ad undici persone ritenute vicine al clan De Tommasi – Notaro arrestate in un blitz scattato all’alba di questa mattina.

«Deja vu – Ultimo Atto». È questo il nome dell’operazione che, all’alba di questa mattina, ha inflitto l’ennesimo colpo alla Sacra Corona Unita. L’ultimo capitolo, appunto. Perché con l’inchiesta di oggi che ha permesso di stringere il cerchio intorno a undici persone, molto probabilmente vicine al clan De Tommasi – Notaro, particolarmente attiva nel nord Salento, si spera di scrivere, una volta per tutte, la parola fine sulla “storia criminale” della nuova SCU, sempre più al passo con i tempi e ‘sensibile’ alle esigenze dettate dalla crisi. Una storia iniziata l’autunno scorso con il blitz "Vortice Daja vu" e proseguita poi a gennaio con l’operazione “Paco". Ancora una volta è Squinzano il centro ed il cuore pulsante.
 
Già da qualche anno, come confermato anche dalle dichiarazioni del pentito brindisino Ercole Penna, i clan storici hanno deciso di sotterrare l’ascia di guerra per siglare una sorta di pax mafiosa, di tregua, seppur armata, allo scopo di fare affari senza attirare troppo l’attenzione degli investigatori e dei media. Insomma, non più l’un contro l’altro, ma uniti per trovare insieme nuove e più redditizie “forme di collaborazione”. Il tutto con un unico intento: ricercare e ottenere, in silenzio, il consenso sociale perché essere “ben visti” dalla popolazione è un obiettivo a cui non si può più rinunciare.  
 
Così, anche nel Salento, la mafia “vecchio stampo” ha deciso di cambiare metodi e sistemi per adottare il cosiddetto «modello Provenzano», la strategia dell’inabissamento delle attività criminali, quella silenziosa, fatta di una fitta rete di relazioni, di affari milionari gestiti nell’ombra. È la strategia, meno cruenta, ma più efficace del «calati giunco che la piena deve passare», un vecchio proverbio siciliano che Zu Binnu ha trasformato in un modus operandi dopo la ferocia degli anni '90, quando la linea d'azione messa in pratica da Totò Riina, decisamente più «stragista» aveva fatto spargere fiumi di sangue. Così, all’esterno i boss appaiono addirittura come benefattori: danno prestiti a fondo perduto a chi è in difficoltà, procurano lavoro, in alcuni casi addirittura sono le stesse vittime a offrire ‘spontaneamente’ denaro e cadeau ai boss.
 
«Non in questa, nell’altra operazione – ha raccontato il Procuratore Capo della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta –  un gioielliere aveva dato spontaneamente un orologio ad un boss. Quando si arriva a questo abbiamo chiuso il cerchio, perché se l’iniziativa dell’imprenditore, del commerciante, del professionista è spontanea, se non c’è la minaccia in senso stretto difficilmente si può contestare un reato. A quel punto diventa un comportamento di costume».  
 
Certo, nel meccanismo apparente “perfetto” può capitare che un ingranaggio “si inceppi”. È stato così quando le lotte intestine alla ricerca della supremazia, i conflitti continui, le faide sempre più violente, come fa un boomerang, si sono ritorte contro chi quelle guerre le ha innescate, dall’interno. In questo caso, il contrasto armato per il controllo delle attività illegali tra l’organizzazione criminale, capeggiata da Marino Manca, meglio conosciuto come Fuecu con una frangia dello stesso clan, capeggiata da Sergio Notaro, detto Panzetta, arrestato il 1° dicembre del 2014 dal Nucleo Investigativo di Lecce dopo un periodo di latitanza, è costato caro a molti dei suoi membri.
 
Da qui, il blitz scattato questa mattina che ha portato all’esecuzione di undici ordinanze di custodia cautelare, due delle quali notificate in carcere. Scorrendo la lista degli arrestati, dunque, non sorprende che molti nomi siano già noti. A finire in manette sono stati Marino Manca, 42enne di Squinzano; Alessandra Amira Bruni, 24enne sempre di Squinzano; Luca Greco, 43enne insieme al fratello Marco Greco, 41enne; i gemelli Roberto e Stefano Napoletano, di 29 anni, e il fratello Angelo di 39;  Stefano Renna, 34 enne di Squinzano;  Giuseppe Ricchiuto, di 24 anni; Antonio Serratì, 41enne di Trepuzzi edEmiliano Vergine, 39enne di Squinzano.
 
Gravi i reati, a vario titolo, contestati: associazione di tipo mafioso e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi anche clandestine, lesioni gravi e minaccia aggravata.
 
I provvedimenti sono stati disposti dal gip di Lecce Carlo Cazzella su richiesta dei pm della locale Direzione Distrettuale Antimafia, Guglielmo Cataldi e Giuseppe Capoccia.
 
La pericolosità dei gruppi criminali sgominati con l'inchiesta di oggi si era manifestata ripetutamente con una serie di azioni di fuoco, che avevano lo scopo di intimidire commercianti e imprenditori, per tenerli sotto scacco, ma anche di eliminare fisicamente i rivali. Lo stesso Marino Manca, l'8 settembre 2012, riuscì miracolosamente a sfuggire all'agguato teso da altri sodali, poi divenuti rivali, mentre si trovava in compagnia di Luca Greco, che rimase gravemente ferito.
 
Proprio l’arresto di Manca per il tentato duplice omicidio e le successive attività d’intercettazione in carcere avviate nei suoi confronti hanno permesso di far luce sull’esistenza di un ulteriore gruppo armato di stampo mafioso, dedito al traffico di droga. Protagonisti chiave: Roberto Napoletano,  Marco Greco e Emiliano Vergine, veri e propri interlocutori “esterni” ai quali  “fuecu” si rivolgeva anche grazie all’aiuto della convivente Alessandra Bruni, per continuare la gestione delle attività criminali.
 
Inutile a dirsi che la principale fonte di reddito era il traffico di stupefacenti che i sodali attuavano attraverso una fitta rete di collaboratori e fiancheggiatori. In particolare in assenza di Manca era Roberto Napoletano con fare tipicamente mafioso si proponeva di controllare il territorio soprattutto nel recupero di denaro per le cessioni di droga presso i vari creditori.