False autorizzazioni per incarichi extra-universitari: ricercatore condannato a 2 anni e 2 mesi

La seconda sezione penale in composizione monocratica ha condannato il ricercatore A.M. relativamente al reato continuato di ‘falsità materiale commessa dal privato in atti pubblici’: avrebbe falsificato alcune autorizzazioni del proprio Preside di Facoltà.

Nelle scorse ore è arrivata la sentenza di condanna a due anni e due mesi (tenendo conto delle circostanze attenuanti comuni), per A.M. ricercatore dell'Università del Salento, difeso dal Prof. Avv. Vincenzo Farina.

Il giudice monocratico Fabrizio Malagnino della seconda sezione penale ha condannato l'imputato per "falsità materiale commessa dal privato in atti pubblici". Il pubblico ministero Giovanni Gagliotta, aveva, invece, invocato una pena di 1 anno e 10 mesi, e riteneva che A.M. rispondesse del reato di cui sopra, nelle vesti di " pubblico ufficiale", ma anche di "errore determinato dall'altrui inganno" e  "contraffazione di altri pubblici sigilli".

La vicenda ebbe inizio da un controllo fiscale della Guardia di Finanza nei confronti del ricercatore, al quale venne richiesto di esibire alcune autorizzazioni relative ad attività extra-universitarie. A.M. produsse quanto richiestogli in data 13 maggio 2011. I finanzieri però, in seguito ad accertamenti compiuti in Università, ritennero che i documenti non fossero corrispondenti a quelli rinvenuti nell'ufficio protocollo della facoltà.  Venne così aperta un'inchiesta da parte della Procura, attraverso la quale il pm Gagliotta ravvisò diverse irregolarità compiute da A.M.

Anzitutto, dall'analisi delle 28 "richieste di autorizzazione allo svolgimento di un incarico retribuito" che coprivano un ampio arco cronologico (dal 27 febbraio 2006 fino al 14 dicembre 2009), corredate dal numero di protocollo e dalla copia conforme all'originale, risultò come gli atti fossero tutti materialmente falsi. Il pm Gagliotta, per alcunidi essi ha ritenuto che A.M. avesse apposto la firma falsa di autorizzazione del Preside (anche per la copia conforme laddove si attestava la conformità).

Il sostituto procuratore ritenne però che in altri, il Preside di Facoltà fosse stato indotto ad apporre il timbro di copia conforme all'originale e la firma e dunque a commettere, anch'egli, il reato di falso materiale in atto pubblico. Ciò avrebbe comportato per il ricercatore anche il capo di accusa di "errore determinato dall'altrui inganno". Su quest'ultimo punto, il tribunale monocratico ha accolto la tesi dell'avvocato Vincenzo Farina, difensore di A.M. , per il quale non sarebbe dimostrabile in alcuna maniera, quel tipo di reato. Lo stesso avvocato ha sempre sostenuto come le sottoscrizioni del Preside fossero autentiche e a dimostrazione di ciò, ci sarebbe anche il deposito di una perizia.

Quest'ultimo, inoltre, sarebbe stato sentito in una udienza precedente e solo per una minima parte degli atti, avrebbe negato la "paternità" di quella firma. L'Ateneo leccese (ultimamente molto impegnato in una politica di rilancio a beneficio degli studenti), invece, che nell'udienza preliminare si era costituita parte civile, ha poi rinunciato  nel corso del processo.

Adesso si dovranno attendere 90 giorni per il deposito delle motivazioni del giudice che potranno così di fare luce su una vicenda tanto intricata e controversa; dopodiché con molta probabilità l'avvocato Farina, difensore di A.M., farà ricorso in Appello.  Una cosa è certa: le pagine di cronaca sul nostro territorio offrono sempre tanti spunti di riflessione; anche qui, se i fatti dovessero essere confermati in tutti i gradi di giudizio, ci sarebbere da riflettere sullo stato delle nostre università, che non è dei migliori.    



In questo articolo: