
Se c’è una cosa che Michael Schumacher è riuscito a fare in questi mesi è quello di unire le persone sotto un unico coro. Anche chi normalmente, per pura competizione sportiva, non ha mai provato simpatia per quel pilota con la stoffa inconfondibile del campione che non ha mai imparato a parlare bene l’italiano, oggi si ritrova a fare il tifo per lui. Un po’ come accadeva in pista, poteva anche sbagliare, abbozzare qualche parola incomprensibile al termine della gara, arrivare secondo o non tagliare il traguardo, poteva essere freddo, supponente e presuntuoso ma era semplicemente il migliore. Lo dimostrano le vittorie messe in tasca, i sette titoli iridati, i novantuno Gran Premi conquistati su 308 disputati e la una lunga lista di campioni, sempre meno campioni di lui, lasciati alle spalle, destinati a osservare soltanto l'alettone della sua monoposto, magari rosso Ferrari. Magari sotto la pioggia dove il tedesco dava sempre il meglio. Lui che ha fatto delle corsa ad alta velocità uno stile di vita, lui che appena aveva tempo scappava a Lecce per correre sui Kart, è stato “fermato” da una semplice caduta sugli sci.
Oggi non ci sono voci fuori dal coro. Negli anni dei trionfi sulla monoposto del Cavallino rampante è stato scritto di tutto e di più. Che era un pilota vincente perché guidava una macchina irresistibile. Che era antipatico perché litigava con Senna e Villeneuve. Che aveva tanto denaro e distribuiva pochi sorrisi. Alcuni addirittura lo odiavano per quel suo fare. Fino alla tragedia. Perché, da allora, il vento è cambiato.
Il 29 dicembre dello scorso anno è stato un giorno amaro per tutti, anche per chi non ha mai seguito la Formula 1. La gente continua ancora a vivere con il fiato sospeso in attesa non di una bandiera a scacchi ma di un segnale che faccia sperare ancora. Per un drammatico incidente, dovuto ad un destino difficile da decifrare figuriamoci da comprendere, Michael, 91 giorni dopo è ancora lì, al quinto piano dell’ospedale di Grenoble. Dicono che sia stato avviato il processo di risveglio dal coma farmacologico, dicono che non tornerà mai più come prima, dicono che bisogna aspettarsi il peggio, dicono che abbia perso troppo peso. Dicono, appunto. Tra conferme e smentite, la tigre di Kerpen lotta ancora tra le mura di una stanza mentre fuori non vede l'ora di sapere quando e come l'incubo finirà.