Omicidio Ruffano, Valentini uccise Romano per un regolamento di conti tra uomini innamorati della stessa donna

Nelle 164 pagine del documento, pur venendo confermato il capo di accusa di omicidio volontario per Valentini, sono indicate ragioni differenti rispetto a quanto sostenuto dal Pubblico Ministero Roberta Licci, in merito al movente.

Sarebbe stato il movente passionale, o meglio un regolamento di conti tra due uomini innamorati della stessa donna, a spingere il 28enne di Supersano Espedito Valentini, ad uccidere Roberto Romano all’interno della sua abitazione di Ruffano, il 23 marzo 2012. 
È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza di primo grado, depositata nelle scorse ore dal giudice Francesca Mariano. Nelle 164 pagine del documento, infatti, pur venendo confermato il capo di accusa di omicidio volontario per Valentini, sono indicate delle ragioni differenti, rispetto a quanto sostenuto dal Pubblico Ministero Roberta Licci, in merito al movente.

Il giudice ha dunque ricostruito la dinamica dell'omicidio. Valentini si recò armato presso l'abitazione di Romano (magari non intenzionato ad uccidere l'uomo, ma comunque pronto a tutto); giunto nella camera da letto di quest'ultimo, dopo che la situazione degenerò a causa di una lite, egli sparò alcuni colpi all'indirizzo di Roberto Romano, ferendolo mortalmente e poi contro il suo compaesano Dario Traversa, tentando di ucciderlo (i giudici non hanno creduto alla tesi della legittima difesa, sostenuta dai legali di Valentini, gli avvocati Mario Coppola e Francesca Conte).
 
In effetti, la Corte di Assise di Lecce, presieduta da Roberto Tanisi, l'11 giugno di quest'anno ha condannato a 23 anni Espedito Valentini per omicidio volontario, accordando uno "sconto" di pena (il pm aveva richiesto trent'anni) per il 28enne di Supersano (tenendo contodelle "attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva"). Inoltre, i giudici hanno condannato DarioTraversa, difensore Francesco Vergine, che invece rispondeva dell'accusa di "favoreggiamento personale". I parenti di Roberto Romano, si sono costituiti parte civile erano difesi dagli avvocati Luigi Covella, Marcello Marcuccio e Simone Viva.

Secondo la Corte di Assise, però, come specificato nelle motivazioni, il movente dell'omicidio sarebbe stato dettato da "istinti passionali". Le ragioni andrebbero dunque cercate, nella relazione extraconiugale che il 28enne di Supersano aveva con la moglie di Romano e risiederebbero, fondamentalmente, nel fatto che i due uomini fossero innamorati della stessa donna.
Nelle motivazioni della sentenza viene evidenziato che, il giorno dell'omicidio, risalente al 23 marzo di tre anni fa, vi fu un precipitare della situazione nei rapporti tra marito ed amante della donna. Romano si recò presso l'abitazione di Valentini (probabilmente perché infastidito dal fatto che, Valentini era passato con la moto sotto casa sua, quasi ad invadere indebitamente il "suo territorio" ) e non trovandolo, riferì alla madre di quest'ultimo, che lo stava cercando perché doveva parlargli. Una volta avvisato della visita, Valentini chiamò l'amante, riferendole l'accaduto in preda ad una grande agitazione, e concludendo la conversazione con la frase "mò basta".
 
I giudici della Corte d'Assise non concordano, dunque con il Pubblico  Ministero, sul punto che, il vero obiettivo di Valentini fosse Traversa. Infatti, il Sostituto Procuratore Licci, ritiene che il movente andrebbe ricercato più nel mondo dello spaccio o del giro di usura. Valentini, infatti, pare che dovesse del denaro a Traversa e a riprova di ciò, il Pm ha fornito le dichiarazioni dell'amante di Valentini,  la quale sostiene di avere saputo direttamente da quest'ultimo, in una circostanza ben precisa, che Dario Traversa si era recato presso l'abitazione di Valentini, a bordo della moto del marito, per chiedergli di saldare un debito di 30 mila euro.
Le circostanze e le modalità di queste dichiarazioni, sono state ritenute poco attendibili dai giudici. Sarebbe infatti, emerso chiaramente, che la tormentata donna, nella doppia veste di moglie ed amante, avesse spinto in questa direzione la propria testimonianza; la donna aveva un'unica grande preoccupazione: difendere la propria onorabilità dinanzi agli occhi della figlia e dei suoi compaesani.  Ella, come sottolinea la dr.ssa Mariano nelle motivazioni della sentenza, voleva che "la figlia non le attribuisse la responsabilità della morte del padre e che non fosse ‘additata’ dalla gente come pietra dello scandalo".



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