Operazione Diarchia, resta in carcere Damiano Autunno, luogotenente del gruppo Montedoro

Il Riesame ha rigettato l’istanza di scarcerazione anche per Eros Fasano che rimane agli arresti domiciliari. All’alba del 30 maggio scorso, quattordici persone sono state raggiunte dai decreti di fermo.

Il Riesame conferma le misure cautelari stabilite dal gip per due indagati, nell'inchiesta "Diarchia" sui traffici illeciti del gruppo Montedoro.
  
Si tratta anzitutto di Damiano Cosimo Autunno, 51enne di Matino, per il quale il suo legale Mario Coppola aveva impugnato l'ordinanza del gip Alcide Maritati. Il giudice aveva convalidato il fermo e disposto la misura carceraria. Il Tribunale del Riesame (Presidente Maria Pia Verderosa, a latere Antonio Gatto e Anna Paola Capano) ha rigettato l'istanza della difesa. Autunno è ritenuto dagli inquirenti il luogotenente di Tommaso Montedoro, poiché teneva i contatti con il capo detenuto nel carcere ligure. Non solo, ritengono i pm, "sovrintendeva al controllo del territorio soprattutto nella zona di Matino ed alla cassa comune". Durante l'udienza di convalida, Autunno ha rilasciato spontanee dichiarazioni, sostenendo di essere vittima di un errore, poiché non sarebbe lui, la persona intercettata dagli inquirenti. Il 51enne di Matino rimane dietro le sbarre del carcere di Borgo San Nicola con le accuse di Associazione mafiosa e Associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti.
  
I giudici del Riesame hanno rigettato anche il ricorso della difesa per Eros Fasano, 53enne nato in  Svizzera e residente ad Alliste, assistito dall'avvocato Biagio Palamà. Il gip Maritati, non aveva convalidato il fermo per mancanza del "pericolo di fuga", ma aveva comunque disposto gli arresti domiciliari, in virtù di "gravi indizi di colpevolezza". Fasano risponde del reato di furto aggravato per due "spaccate" agli sportelli bancomat.
  
Ricordiamo che all'alba del 30 maggio scorso, quattordici persone sono state raggiunte dai decreti di fermo.
  
A muovere i fili del clan, secondo gli inquirenti, Tommaso Montedoro, 41enne di Casarano che da Vezzano Ligure, in provincia di La Spezia dove si trovava ai domiciliari, controllava la sua città.  Il core business del gruppo, come detto, era il traffico di sostanze stupefacenti. Quantità talmente ingenti di cocaina ed eroina che facevano fruttare fino a 750mila euro ogni due/tre giorni. Il gruppo non ‘disdegnava’ le banche, prendendo di mira gli sportelli che ‘svuotavano’ con la classica tecnica della spaccata. Malgrado la detenzione “sofferta”, Montedoro, dopo la morte di Augustino Potenza (è considerato il mandante dell'omicidio), ha conquistato il monopolio sul territorio anche grazie al "suoi uomini".  Spennato, probabilmente doveva fare la stessa fine di Potenza, come dimostrano le modalità con cui era stato architettato il tentato omicidio: un commando formato da 2/3 perone con Kalashnikov e una mitraglietta Sten ha preso di mira l’uomo che ‘miracolosamente’ riuscì a salvarsi.  Fondamentali per smantellare il clan, le intercettazioni ambientali e telefoniche.



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