Operazione Pozzino, Tarantini:’Io estraneo a furti, estorsione e ricettazione’

Dal carcere di Lecce, anche gli altri quattro indagati, Biagio Pagano, Andrea Mancarella e Marco Caramuscio hanno risposto alle domande del gip Cinzia Vergine, negando la maggior parte degli addebiti.

Dopo "l'Operazione "Pozzino" di lunedì scorso – che ha permesso di svelare una presunta associazione per delinquere, finalizzata soprattutto alle estorsioni ed ai furti con il cosiddetto metodo “cavallo di ritorno” – questa mattina si sono tenuti gli interrogatori di garanzia. Infatti, i militari della Compagnia di Gallipoli nelle scorse avevano eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere, su richiesta del Procuratore Aggiunto Antonio De Donno, nei confronti di: Luigi Tarantini, detto Gino, 66enne di San Pietro in Lama (considerato la 'mente' del gruppo); Roberto Nisi, 63enne di Lecce; Marco Caramuscio, 32 anni di Monteroni; Andrea Mancarella, 32 enne di Lequile; Biagio Pagano, anche lui 32enne di Leverano; ed una ai domiciliari per Antonio Vadacca, 43 enne di Monteroni. Nel registro degli indagati compaiono complessivamente ben 42 nomi (36 sono a piede libero).
 
Dal carcere di Lecce, quattro indagati hanno risposto alle domande del gip Cinzia Vergine.  Anzitutto il presunto capo Luigi Tarantini, difeso dall'avvocato Vito Quarta, ha negato la sua partecipazione agli episodi di furto, estorsione e ricettazione, poiché la maggior parte della refurtiva trovata in suo possesso gli apparterrebbe realmente. Infatti, il suo legale ha depositato una documentazione, facente riferimento ad un dissequestro dei beni (di un'altra operazione investigativa), molti dei quali riconducibili a quelli trovati nella sua disponibilità in quest’ultima circostanza. Riguardo alla detenzione illegale di arma da fuoco, (a parte le intercettazioni da cui è  emerso come Tarantini avesse intessuto dei saldi rapporti con il boss Roberto Nisi), non sarebbe dimostrabile un suo coinvolgimento, poiché non sarebbe stata trovata alcuna arma riconducibile a lui.
 
Infine, nell'interrogatorio ha dato la sua versione dei fatti – su quanto da lui stesso riferito in un'intercettazione – riguardo alcuni particolari inediti della "Strage della Grottella". Egli ha detto di non conoscere affatto il collaboratore di giustizia Vito Di Emidio, negando di avere ospitato e favorito il commando dando la disponibilità di un doppio muro all'interno della sua masseria, utilizzato come nascondiglio. Inoltre ha aggiunto che proprio quando si verificò quel terribile fatto di sangue, egli disconobbe il nipote Antonio Tarantini.
 
È stato ascoltato anche Biagio Pagano, difeso dagli avvocati Giuseppe Bonsegna ed Anna Inguscio. Egli ha negato la sua partecipazione a furti ed estorsioni con il " cavallo di ritorno", così come la detenzione di armi da fuoco. Ha ammesso soltanto un suo coinvolgimento in episodi di ricettazione di articoli di poco conto, come i decespugliatori. Anche Andrea Mancarella, difensore Ivan Feola, ha risposto alle domande del gip. Riguardo al ruolo da lui assunto nei casi di ricettazione, ha negato ogni addebito. Egli ha spiegato che gli attrezzi agricoli erano di proprietà della sua famiglia; appartenevano al padre e provenivano dalla masseria di quest'ultimo ed egli li aveva regolarmente messi in vendita. Il suo difensore ne chiederà la scarcerazione al gip già nelle prossime ore, considerando che la misura cautelare si riferisce a contestazioni di quattro anni fa, considerate oramai inattuali.
 
Infine, anche Marco Caramuscio, difensore Angelo Vetrugno, ha risposto ad ogni domanda del giudice.  
 
Soltanto Antonio Vadacca, difeso dall'avvocato Massimo Bellini, e Roberto Nisi, recluso nel carcere di Favignana, difensore Ladislao Massari, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere