L'imputato è da ritenersi colpevole del reato di omicidio volontario, perché "Polimeno sbagliò persona, ma uccise con piena e ferma volontà".
Sono le parole del giudice estensore Mariano sulla sentenza del 7 giugno scorso. Salvatore "Andrea" Polimeno è stato condannato a 30 anni di reclusione dalla Corte di Assise di Lecce, Presidente Roberto Tanisi, a latere Francesca Mariano e giudici popolari, per l'assassinio di Valentino Spalluto.
Nelle circa 100 pagine di motivazioni della sentenza viene anche sottolineata l'importanza delle dichiarazioni, in sede d'incidente probatorio, di Emanuela Murra. "Un povero innocente che poteva essere mio figlio e volevo…non volevo fare giustizia, non volevo né vendicarmi, non volevo fare niente. Volevo liberarmi di questa cosa".
Queste le parole del teste, rese durante le indagini sulla morte di Valentino Spalluto, assassinato per un errore di persona nel pomeriggio del 2 agosto 2012, mentre lavorava in Piazza Palio all'allestimento del palco di Laura Pausini.
Tali dichiarazioni sono state considerate dal giudice estensore, Francesca Mariano, un "elemento centrale della valutazione nel presente processo". Secondo il giudice "a conferma della genuinità del narrato, soccorre la chiusura dei rapporti con la figlia Pamela Danisi, coniugata con il fratello del Polimeno, che mal ha tollerato la decisione della madre di parlare in un contesto fortemente omertoso, in cui le leggi dello Stato sono una parvenza sovrapposta alle leggi di un quartiere malavitoso".
La Murra voleva raccontare ogni cosa, anche perché temeva che nella vicenda potesse essere coinvolto il genero, fratello dell'imputato e coniugato con la figlia. Trovò il coraggio, nonostante fosse stata minacciata dalla madre di Polimeno, la quale, apprendendo dell'imminente ascolto della Murra in sede d'incidente probatorio, le aveva intimato "che quanti anni di condanna avrebbe preso Andrea tanti avrebbe vissuto lei da incubo", tirandole poi una pietra sul balcone.
Secondo il giudice Mariano, la Murra ha "visto con i propri occhi una decisiva sequenza di avvenimenti, necessaria per l'esatta ricostruzione della verità". Infatti, la testimone-chiave che abitava nello stesso stabile del presunto assassino, si trovava affacciata al balcone, poco dopo l'omicidio, quando la pattuglia si avvicinò a casa di Polimeno e lo vide "salire come un pazzo a casa".
Verso le 18, si recò a casa della figlia (fidanzata con il fratello di Salvatore Polimeno). Quest'ultima aveva ricevuto svariate visite in quei momenti frenetici, tra cui quella dello stesso Salvatore Polimeno che le riferì di avere ucciso "Saso".
La signora Murra seppe ben presto che c'era stato un errore di persona e, in preda ai sensi di colpa, decise di telefonare due giorni dopo alla Polizia. Inoltre ricevette altre informazioni sul terribile accaduto da tre minori testimoni oculari del fatto, e che ritenne di registrare per evitare che in seguito, ritrattassero. Essi, continua il giudice Mariano, riferirono di avere visto Salvatore Polimeno, "sopraggiungere a bordo del suo scooter e girare intorno al piazzale due volte, fermarsi al terzo giro, avere con sèuna pistola, mettersi con la mano attraverso le grate della recinzione in posizione, è dopo pochi secondi hanno sentito gli spari". Anche in questo caso, i ragazzi furono sottoposti a dei tentativi di nascondere l'accaduto, da parte dei genitori o di altre persone, affinché l'omertà coprisse la verità.
Invece, secondo il giudice estensore, le dichiarazioni della figlia della Murra, Pamela Danisi, "sono un campionario di falsità, sul quale è appena il caso di soffermarsi. Ella sarebbe succube "della prepotenza della famiglia del marito, che l'ha indotta a mentire davanti al giudice, a scapito della correttezza della madre, liquidata come una donna livorosa verso il Polimeno, al fine di minarne la credibilità"
Infine, l'estensore ritiene attendibili le dichiarazioni rese in dibattimento dal collaboratore di giustizia Giole Greco, definita "voce narrante degna di attenzione e di credibilità intrinseca."
Secondo quanto riferito da Greco, Polimeno voleva vendicarsi poiché era stato schiaffeggiato da Alessandro Leo, detto "Saso" per questioni legate alla vendita di droga. Recatosi a casa del collaboratore di giustizia, Andrea Polimeno avrebbe ammesso di essere l'autore dell'omicidio di Spalluto soltanto per un errore di persona. Invece, il giudice estensore ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni e la versione dei fatti resa dall'imputato, in sede di esame.
La dr.ssa Mariano ritiene soprattutto che non vi sono dubbi sulla sussistenza dell'aggravante della premeditazione ( nonostante l'errore di persona), soprattutto perché "il proposito di uccidere Alessandro Leo fu maturato da Polimeno almeno tre mesi prima della data dell'omicidio, quando il Leo lo schiaffeggiò". Il giudice spiega anche perché la pena finale inflitta a Polimeno è stata di 30 anni, e non quella dell'ergastolo, come richiesto dal pubblico ministero Carmen Ruggiero. All'imputato, difeso dall'avvocato Luigia Cretì, sono state accordate le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, nonostante i precedenti penali, soprattutto perché egli è giovanissimo, e "presenta una debolezza mentale di grado lieve che comunque va tenuta in considerazione ai soli fini di adeguare la pena al caso concreto".
Infine, il giudice ritiene che l'imputato deve essere condannato al risarcimento del danno in favore delle parti civili, difese dall'avvocato Francesca Conte e Giada Paladini. I familiari del giovane operaio di Surbo "sono stati fortemente provati dalla perdita dovuta alla morte del loro congiunto,le cui prospettive future sono state tranciate da una morte violenta ed ingiusta, a causa di una mano rancorosa fino all'omicidio".
