Si conclude con la condanna a 30 anni, la vicenda giudiziaria di Gianpiero Mele, reo di avere ammazzato il figlioletto di soli due anni.
La Corte di Cassazione ha dunque ribadito come il 31enne di Taurisano, sia da ritenere colpevole del reato di omicidio volontario. "Gli ermellini" hanno confermato la sentenza scaturita dal secondo processo di Appello, conclusosi circa un anno fa.
Così come il risarcimento per Angelica Bolognese, madre del piccolo Stefano, che si è costituita parte civile con gli avvocati Alessandro Stomeo e Salvatore Centonze ottenendo una provvisionale di 100mila euro. Invece, il risarcimento per i nonni Roberto e Rosanna Manisco dovrà essere stabilito in sede civile.
Il processo conclusosi, è dunque "tornato" in Cassazione. La Suprema Corte, due anni fa, aveva ritenuto "immotivata" per una questione tecnica, la parte della sentenza emessa nel primo processo d'Appello tenutosi a Lecce. Questa riguardava l'aggravante dei futili motivi e della crudeltà, e la concessione delle attenuanti generiche, cosicché i giudici della Cassazione disposero l'annullamento con rinvio. Si era poi celebrato il suddetto processo a Taranto (che ha confermato la condanna a 30 anni), fino ad arrivare alla sentenza di ieri emessa a Roma.
Secondo l'accusa, rappresentata dal pubblico ministero Guglielmo Cataldi, Gianpiero Mele nel giugno del 2010 dopo aver preso il figlio dalla casa dei nonni materni,con la scusa di portarlo al mare si era fermato, all'ingresso di Torre San Giovanni, in una ferramenta per acquistare una corda di Nylon e un taglierino. Pochi metri più in là, vi era la casa estiva dei genitori del ragazzo, che sarebbe diventata il teatro della macabra tragedia. Secondo le ricostruzioni processuali, il 25enne (all'epoca dei fatti) ha prima tentato di impiccare il figlio in bagno, poi, temendo che i vicini potessero udire le grida, gli ha reciso la carotide con il taglierino. In una lettera lasciata sul tavolo della cucina, un addio in cui traspariva l'odio e la rabbia verso la compagna, Angelica Bolognese.
Inoltre è stato appurato che Giampiero Mele, quando il 30 giugno del 2010, condusse il figlio nella casa al mare di Torre San Giovanni e lo ammazzò senza pietà, era capace di intendere e di volere. Questa tesi era stata riconosciuta dai consulenti Domenico Suma ed Antonello Bellone nominati nel processo di primo grado celebratosi con il rito abbreviato, dal giudice Carlo Cazzella. I consulenti sostennero che le ragioni dell'assurdo gesto di Mele, andassero ricercate nel deterioramento del rapporto con la coniuge.
Gianpiero Mele è assistito dall'avvocato Gabriella Mastrolia. Nei giorni scorsi, è stato scarcerato perché sono scaduti i termini di custodia cautelare, ma ha scelto di restare nella comunità che lo aveva ospitato durante gli arresti domiciliari.
