Calo delle presenze nel Salento? Forse occorre invertire il passo

L’estate 2018 sta portando con sé qualche dubbio per il settore ricettivo locale. Quali sono le cause? Eccone qualcuna, secondo noi.

Che meteorologicamente l’estate 2018 non sarebbe stata la migliore di sempre per il Salento lo si era ormai capito da giugno o come goliardicamente ribattezzato da qualcuno, da quel giugnembre che, anziché farci assaporare le primizie della bella stagione, sembrava quasi averci catapultato direttamente in pieno autunno.

Ma gli echi di quello che oggi si concretizza come una flessione del turismo, hanno cominciato a farsi sentire già negli anni passati. E a raccontarlo sono anche molte testate nazionali.

E’ chiaro che, se addirittura Gallipoli, negli ultimi due mesi, ha dovuto fare i conti con un calo dell’affluenza, la colpa non può semplicisticamente essere imputata alle non proprio favorevoli condizioni meteo o, come da più parti sostenuto, al sequestro di strutture attrattive come il Parco Gondar e la nota discoteca Cave.

Perché, se da un lato la magistratura fa il proprio lavoro, è altresì vero che, una qualunque realtà che voglia definirsi turistica a 360°, non può neppure permettersi di pensare di battere cassa unicamente sulla movida notturna.

Non è nemmeno opportuno ridurre la storia e le tradizioni di un territorio a una serie di eventi “mangerecci” che, lontani anni luce dalle antiche sagre e dalla nostra culinaria, hanno il solo merito di perpetrare lo stereotipo di un Sud dove, dalla mattina alla sera, non si fa altro che mangiare e divertirsi.

Non è questo che vuol dire Turismo. Non sono solo questo la Puglia e il Salento. I primi turisti, nel XVIII secolo, giungevano infatti da Paesi come la Francia, l’Inghilterra e i principati tedeschi per riscoprire qui, in Italia e, in modo particolare, nel Mezzogiorno l’origine della cultura europea, della loro cultura, quella stessa cultura di cui il nostro territorio è stato per secoli un assoluto protagonista!

Oggi, invece, i circuiti culturali e l’artigianato arrancano e il tutto si è ridotto a rustici venduti a prezzi inammissibili, affitti al limite del possibile (come hanno raccontato le cronache lo scorso anno), spiagge e piste da ballo più simili ad autentici carnai e centri storici, come recentemente affermato da Vittorio Sgarbi, che ricordano più dei suk fatti di un susseguirsi di focaccerie, pub e venditori di cianfrusaglie.

Era inevitabile che, prima o poi, pure i vacanzieri più fedeli si sarebbero stancati di questo essere visti e trattati come bancomat da spolpare ogni anno di più e che alla fine avrebbero cominciato a cercare altre mete dove meglio spendere le proprie ferie.

Se, dunque, l’idea che il Salento aveva del turismo era quella di specularci finché le circostanze lo avrebbero permesso, ebbene, l’obiettivo può ampiamente considerarsi raggiunto. Se però, viceversa, si voleva farne un’opportunità di sviluppo concreto provando ad alzare l’asticella in modo da andare oltre un turismo di massa sul punto di implodere, la parola d’ordine, d’ora in avanti, non potrà che essere una e una soltanto: cambiare rotta.

di Luca Nigro



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