La Specchia dei Mori di Martano, dove toccare il cielo o cercare un tesoro

La Specchia dei Mori è conosciuta anche come Segla tu Demoniu perché secondo la tradizione nasconde un prezioso tesoro custodito dal Diavolo in persona. Ma questa non è l’unica leggenda nata intorno alla costruzione in pietra

Specchia dei Mori Martano

Il Salento è una terra di megaliti, pietre misteriose che affascinano e incuriosiscono. C’è il dolmen li scusi a Minervino di Lecce, ci sono i menhir, veri e propri monumenti che raccontano storia. Lungo la strada che da Martano conduce a Martignano è impossibile non notare, in tutta la sua imponenza, la  Specchia dei Mori, conosciuta anche come Segla u demonìu, in griko salentino. Un cumulo di pietre ammassate a “secco” come i muretti che si incontrano nelle campagne, quelli che un tempo proteggevano gli ulivi millenari e che hanno fatto da sfondo a centinaia di fotografie, vere e proprie cartoline per i turisti.

Difendersi o arrivare al cielo? La storia della Specchia dei Mori

Anche la Specchia dei Mori nasconde segreti e leggende che in tanti hanno cercato di decifrare. E come molti enigmatici monumenti megalitici, questa antica costruzione è avvolta da un affascinante mistero. Il termine dialettale “specchia” deriva dal latino “speculae”, luogo per osservare. Era un antico punto di avvistamento, quindi?  Probabilmente serviva per osservare quel mare dispensatore di ricchezze e cultura, ma anche foriero di minacce e disgrazie.

Torre di vedetta, “vecchia” abitazione o anche tomba, protetta dalle profanazioni. Come per i menhir e per i dolmen, anche attorno alle specchie sono nati racconti (cunti della tradizione popolare) e favole.

Il monumento è conosciuto con il nome griko: Segla tu Demoniu, perché una leggenda del posto narra di un prezioso tesoro nascosto al suo interno, protetto dal Diavolo in persona, forse una chioccia con pulcini d’oro. La costruzione sarebbe quindi un’acchiatura che nessuno ha mai trovato. Ma non è solo questo.

« Lèane puru, e mali mali, pos e mori stea’ chomeni ecikau sti’ segla mali, jatì cisi mavrimmeni, ma lisària mala mala etelìsa’ mian emera na su kàmune mia’ skala ce na piàune ton anghera »

«Raccontavano gli anziani come i mori fossero sepolti sotto quella grande specchia. Dal momento che quei tristi con le pietre più grosse vollero un bel giorno costruire una gran scala e salire fino al cielo».  Questi versi, tratti da una poesia di Giannino Aprile ( in Traùdia, Calimera e i suoi canti), raccontano un’altra leggenda.

La Specchia fu costruita dai giganti che volevano raggiungere il cielo per poter “toccare” gli Dei , senza pensare alle terribili conseguenze. Impilando pietra dopo pietra eressero una torre dalle dimensioni maestose sulla quale potersi arrampicare per raggiungere l’Olimpo nostrano. Ma, come abbiamo già avuto modo di imparare in passato, le divinità hanno considerato questo tentativo come un affronto e, come avvenne a Babele, distrussero questa rudimentale via di comunicazione tra il cielo e la terra, seppellendovi  sotto chi prese parte alla costruzione. Pare che ancora oggi, se si tende l’orecchio, si possano ascoltare i lamenti dei mori che hanno perso la vita.

Interessanti le ipotesi formulate da alcuni studiosi del territorio che vedono nelle numerose specchie del Salento i punti nodali di un intricato sistema di allineamenti costituito da menhir, dolmen e strutture megalitiche volto a riproporre in terra il sistema astrale.

ph. Ivan Giannone



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