Uccise con un cacciavite un connazionale nel 1998, estradato dalla Spagna Albanese 39enne

La condanna emessa dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Lecce. L’omicidio avvenuto a Fasano. L’uomo, resosi subito latitante, era recluso presso il carcere di Barcellona per alcuni reati commessi nel Paese iberico.  

Presso lo scalo aereo di Roma Fiumicino, con un volo proveniente dalla Spagna luogo dell’estradizione, è arrivato Gazmend Nure, 39enne albanese, al quale i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Brindisi  hanno notificato un “ordine di esecuzione per la carcerazione” emesso dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Lecce, in quanto dovrà espiare la pena di 22 anni di reclusione  per l’omicidio di un connazionale avvenuto a Fasano 20 anni fa.

All’epoca il grave fatto di sangue, per l’efferatezza con cui venne commesso, suscitò sgomento e preoccupazione nella comunità del centro nel brindisino.

I fatti

Fra quattro giorni saranno trascorsi esattamente  20 anni da quell’1 agosto 1998, quando, alle ore 20.30, giunse una telefonata ai Carabinieri di Fasano da parte dei sanitari dell’ospedale che comunicavano che era stato lì condotto un cittadino extracomunitario,  probabilmente di origine albanese, in stato di coma, a causa di un “trauma cranico encefalico commotivo” provocato da  un cacciavite.

Il ferito venne subito trasferito presso il nosocomio “Di Venere” di Bari, a causa della gravità delle lesioni.

Le indagini

Le indagini, avviate dai militari dell’Arma della Compagnia fasanese, si orientarono sin da subito verso la comunità albanese del luogo al fine di identificare la vittima  e ricostruire la vicenda.

Le investigazioni diedero subito i frutti portando  all’identificazione di un amico  della persona ferita che, con l’ausilio di un interprete, rilasciò le prime dichiarazioni grazie alle quali fu possibile localizzare un casolare abbandonato in contrada Gravinella, in agro di Fasano, dove furono recuperati documenti che dimostravano il passaggio della vittima da quel luogo.

Si trattava di un ricovero di fortuna  perché all’interno i Carabinieri rinvennero un giaciglio e un borsone contenente indumenti personali e documenti che risultarono essere quelli della vittima identificata nella persona di Luan Kaja, deceduto  a seguito delle lesioni dopo 18 giorni dall’aggressione, precisamente il 19 agosto 1998.

L’esame autoptico

L’autopsia consentì di rilevare  la presenza  a livello della regione temporale sinistra di un foro penetrante di piccole dimensioni, di caratteristiche analoghe a quelle rilevate a livello cervicale destro, fori compatibili con  quelli provocati da un punteruolo o una punta da trapano o da un cacciavite.

L’amico della vittima, testimone oculare dell’evento, venne minacciato con una pistola dall’omicida poiché aveva  tentato di fermarlo per impedirgli di continuare l’aggressione. Grazie alle sue indicazioni fu  possibile ricostruire tutte le fasi della vicenda  e, soprattutto, il movente e le circostanze in cui era maturato il grave delitto che sconvolse l’opinione pubblica fasanese per la brutalità con cui era stato commesso.

Il racconto del testimone

Dal racconto del teste  è emerso che l’1 agosto 1998, intorno alle ore 13.00, giunsero nella sua abitazione a Fasano,  la vittima  e colui che di lì a breve sarebbe diventato il l’omicida, che già stavano litigando in maniera violenta. Oggetto della discussione l’utilizzo di un piccolo casolare rurale.

Dopo alcune ore, nel pomeriggio dello stesso giorno, la vittima,  uscì dall’abitazione dell’amico per effettuare una telefonata  ai parenti in Albania dalla cabina telefonica posta nella zona, seguito a brevissimo intervallo di tempo da Gazmend Nure.

Il padrone di casa, testimone degli eventi, preoccupato che il litigio tra i due potesse proseguire per strada, dopo pochi minuti, decise  di raggiungere  la cabina telefonica dove Luan stava cercando di contattare i congiunti. Poi, una volta riuscito a prendere la linea, per consentire al connazionale di parlare liberamente coi parenti, decise di allontanarsi di qualche metro.

Una distanza non molto lontana per far sì da non accorgersi che nel frattempo, l’omicida, impugnando un cacciavite lungo e sottile, si  era avvicinato alle spalle della vittima conficcandolo lo strumento da lavoro violentemente nella tempia.

Il testimone tento anche di fermare l’omicida, che però estrasse una pistola puntandogliela contro e, minacciandolo, si dileguò portando con sè l’arma del delitto.

Sulla scorta delle informazioni fornite dal testimone venne poi individuato il piccolo fabbricato rurale oggetto della contesa ed elemento scatenante del delitto.

La condanna

Il 28 aprile 2003, Gazmend  Nure latitante sin da subito e contumace ai processi, è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Brindisi. La pena è stata poi riformata dalla Corte d’Assise d’Appello di Lecce in 22 anni  di reclusione per il reato di omicidio, minaccia nei confronti del testimone e per porto illegale di arma comune da sparo.

L’omicida, dall’indole violenta, non era nuovo ad eventi simili, l’anno prima nel 1997, sotto il falso nome  di  Hasani Shepetim, a Frosinone, era stato  indagato per tentato omicidio e porto e detenzione di arma atta ad offendere.

Nel 1999, da latitante, aveva richiesto asilo nel Regno Unito, fornendo false generalità. Scoperto dalle autorità britanniche, fece perdere perdere le proprie tracce. Successivamente con l’alias  Lorenzo  Backa è stato arrestato in Spagna e condannato dal Tribunale di Barcellona alla pena di 18 anni di reclusione per un altro tentato omicidio e possesso illegale di armi e ristretto nel penitenziario  “Brians 1”  nella città della Catalogna.

Con l’estradizione dalla Spagna e la notifica negli uffici dell’Aeroporto di Roma Fiumicino, del provvedimento restrittivo emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Lecce, da parte dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Brindisi, si mette la parola fine su un grave ed efferato fatto di sangue, perpetrato con inaudita violenza per futili motivi.



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