Aumenta l’utilizzo dei buoni-lavoro: Lecce è la provincia più ‘voucherizzata’ dopo Bari

​Lecce è la seconda provincia più ‘voucherizzata’ di Puglia. Salvatore Giannetto, segretario generale UIL Lecce:’Situazione allarmante, resta area grigia di precariato senza diritti. A questo punto proponiamo anche di prevedere un tetto annuo di compenso erogabile’.

La pratica dei voucher – i cosiddetti “buoni lavoro” – non conosce crisi in Puglia e, in particolare, nella provincia di Lecce. Si pensi, infatti, che il Salento viene classificato al secondo posto a livello regionale – in  relazione al loro utilizzo – dopo Bari. È quanto confermano gli ultimi dati contenuti nel report della Uil. Nel periodo gennaio-marzo di quest’anno sono stati acquistati a Lecce e provincia ben 286mila e 311 voucher, pari al 24,6% del totale di buoni-lavoro venduti in Puglia. Non solo. Nell’intera regione ne sono stati venduti complessivamente 1milione, 163mila e 864. Come anticipato ad inizio articolo, la provincia pugliese più “voucherizzata” è  quella di Bari con 435mila e 285 buoni-lavoro venduti nel primo trimestre del 2016 (pari al 37,4 per cento del totale di voucher venduti in Puglia). Seguono Lecce, poi Brindisi con 175mila743 (15,1%), Taranto con 144mila319 (12,4%) e Foggia con 122mila2016 (10,5%).
 
Ci troviamo di fronte a un’esplosione di precarietà – commenta  Salvatore Giannetto, segretario generale della Uil di Leccela situazione è drammatica perché il ricorso a questi tagliandi sta determinando l’esponenziale sostituzione di potenziali rapporti subordinati attraverso forme poco tutelanti per i lavoratori, basti pensare all’assenza del diritto a malattia nonché a maternità e indennità di disoccupazione in quanto i voucher sono esentati da contributo”.
 Molti sostenitori della necessaria espansione del voucher affermano che lo scopo principale di questa modalità di pagamento di una prestazione sia favorire l’emersione. Ma è realmente così o piuttosto ha prodotto un peggioramento (normativo, salariale, contributivo) delle condizioni di lavoro? I dati Inps ci informano che il lavoro accessorio è sempre più utilizzato nel commercio, turismo e servizi: tutte attività piuttosto distanti da quelle rispetto alle quali è nato nel 2003 il lavoro accessorio. “Peraltro – sottolinea sempre Giannetto – le modifiche legislative sui voucher, anno dopo anno, riforma dopo riforma, ne hanno allargato il campo di applicazione sia oggettivo (i settori) che soggettivo (datori di lavoro e lavoratori), con l’ulteriore e recente novità dell’aumento a 7mila euro dell’importo netto percepibile annualmente dal singolo prestatore di lavoro”.
 
E il tetto per il committente? La normativa non lo ha mai previsto. Se queste considerazioni hanno fondamento, è del tutto evidente che non sarà sufficiente intervenire esclusivamente sulla cosiddetta tracciabilità con una comunicazione esatta di inizio e fine attività lavorativa, ma diventa necessario rivedere, in senso restrittivo, settori d’impiego e tipologia di committente.
 
Per quest’ultimo – conclude – proponiamo, e lo riteniamo fondamentale, anche di prevedere un tetto annuo di compenso erogabile indipendentemente dal numero dei prestatori di lavoro”.



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