Il processo d'Appello bis sullo scandalo rifiuti nel Basso Salento, si conclude con l'esclusione dell'aggravante del metodo mafioso e la prescrizione del reato di smaltimento illecito per Gianluigi Rosafio, 42enne di Taurisano. La Corte presieduta da Nicola Lariccia ha dunque confermato la sentenza di primo grado ( egli era stato condannato a 7 anni e 2 mesi, ma senza la suddetta aggravante) condannando Rosafio a soli 6 mesi per minacce aggravate. Invece, nell'aprile 2012, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, aveva disposto l'annullamento con rinvio del processo di secondo grado, in merito alla circostanza aggravante della modalità mafiosa, al fine di verificare se nel periodo contestato all'imputato, egli si sarebbe avvalso di metodi "mafiosi" per ottenere gli appalti. Il primo processo di Appello si era concluso, con la condanna a 4 anni e 6 mesidi Rosafio, gestore di fatto delle ditte “Rosafio Rocco Servizi ambientali” e “Rosafio srl”.
Nell'udienza odierna, il procuratore aggiunto, Elsa Valeria Mignone, ha ribadito la richiesta di condanna per il 42enne di Taurisano, con la circostanza aggravante della modalità mafiosa, venuta meno in Cassazione.Ciò perché, ritiene la dr.ssa Mignone, Rosafio "si è avvalso di rapporti di corruttela con le forze dell'ordine e non solo, di fronte a cui veniva alla luce l'impotenza degli imprenditori coinvolti". Nello specifico, secondo quanto sostiene l'accusa, egli ha sfruttato i legami di parentela con Giuseppe Scarlino, alias “Pippi Calamita”, storico boss della Sacra corona Unita ( Rosafio aveva sposato la figlia Luce Tiziana,) per creare una sorta di monopolio della gestione degli appalti sui rifiuti. Il nome del boss, sarebbe stato così utilizzato per intimidire le aziende concorrenti, creando una sorta di assoggettamento. Secondo il procuratore aggiunto Mignone, il “Gruppo Rosafio” avrebbe operato tra il 2002 e il 2003. In questo periodo, ingenti quantitativi di rifiuti liquidi, alcuni piuttosto dannosi e pericolosi, sarebbero stati smaltiti, anzitutto presso gli impianti di depurazione di Corsano, Presicce, Melendugno, Galatina, Taurisano; ma soprattutto presso la discarica R.s.u. Monteco di Ugento, non autorizzata a ricevere rifiuti liquidi. In alcuni casi gli scarichi sarebbero avvenuti in aperta campagna o su strade pubbliche.
Secondo il difensore di Gianluigi Rosafio, l'avvocato Andrea Sambati, invece, non è affatto provato, né tantomeno dimostrato che egli abbia ottenuto, così come contestatogli dall'accusa, determinati appalti sui rifiuti, ricorrendo ad intimidazioni e minacce nei confronti di imprenditori, nel periodo preso in esame.
A seguito della prima sentenza di Appello, per Rosafio era scattata l'interdittiva Antimafia. Questa prima, venne annullata in seguito a ricorso al Tar; essa fu poi seguita da una secondo provvedimento, tutt'ora vigente. Adesso questa nuova sentenza potrebbe stravolgere tutti gli scenari attuali ed egli potrebbe ricominciare regolarmente ad esercitare la propria attività imprenditoriale, senza vincoli di legge specifici, nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti.
Ricordiamo, infine, che quando ancora Rosafio era sottoposto alla suddetta interdittiva, è scoppiato lo scandalo dell' Ato Lecce 2. Il grande accusatore è lo stesso Rosafio, il quale fa riferimento ad appalti ed assegnazioni d'incarichi risalenti al periodo compreso fra il 2007 ed il 2009. Il procuratore aggiunto Antonio De Donno, nel novembre scorso ha notificato gli avvisi di conclusione delle indagini a otto persone, con le accuse di concussione"tentata"o "riuscita" e falso ideologico.
