‘Società di prestanome per schermare i proventi del gioco d’azzardo’, la Gdf confisca i beni dei De Lorenzis

Si è protratta fino all’alba la vasta operazione antimafia  Hydra che ha visto protagonisti i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Lecce, coordinati dalla locale D.D.A.

Si è protratta fino all’alba la vasta operazione antimafia Hydra che ha visto protagonisti i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Lecce, coordinati dalla locale D.D.A. (la Direzione Distrettuale Antimafia).

Il provvedimento rappresenta l’epilogo delle indagini condotte dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Lecce che mette la parola fine ad un lungo iter giudiziario iniziato con un provvedimento di sequestro poi impugnato dai proposti con la conseguente temporanea restituzione dei beni.

Operazione Hydra, come detto, è stato denominato l’intervento, come il famoso mostro mitologico a cui non bastava tagliare una testa perchè dal moncherino immediatamente ne spuntavano altre due.

I finanzieri hanno agito in esecuzione di un provvedimento preventivo di confisca di un ingente patrimonio del valore di oltre  3,5 milioni di euro riconducibile a tre fratelli di Racale, ritenuti socialmente pericolosi in quanto contigui ai clan della Sacra Corona Unita.

Le indagini della Guardia di Finanza

Le complesse indagini hanno dimostrato che la titolarità di una società a responsabilità limitata di Melissano, leader nel settore dei giochi elettronici e delle scommesse on line era riconducibile ad una famiglia di Racale, quella dei De Lorenzis. Nella fattispecie si tratta dei fratelli Pietro Antonio De Lorenzis (55 anni), Saverio (45 anni) e Pasquale Gennaro (48 anni).

I veri proprietari, insomma, stando alla ricostruzione della Gdf poi confermata dai giudici, al solo fine di “schermare” i proventi derivanti dal business del gioco d’azzardo, avevano appositamente costituito una nuova impresa che era solo formalmente intestata ai dipendenti di un’altra azienda “di famiglia”, già colpita da una misura interdittiva antimafia della Prefettura di Lecce.

Per i giudici leccesi la costituzione della nuova società, oggi confiscata sarebbe avvenuta attraverso una macchinosa cessione di quote, fraudolentemente studiata a tavolino, tra i reali proprietari ed il loro prestanome, ad un prezzo talmente “vantaggioso” da essere “palesemente incongruo”, con un lunghissimo pagamento rateale, senza alcuna liquidità iniziale, secondo modalità “fuori mercato”, che non potevano avere altro fine se non quello di mascherare una cessione utile solo a nascondere i patrimoni agli eventuali accertamenti degli organi investigativi.

Le investigazioni della DDA di Lecce

Le approfondite indagini della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Lecce, guidata dal procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi e dei finanzieri hanno poi dimostrato la totale gestione delle attività imprenditoriali da parte della famiglia di Racale che in più di una circostanza avrebbe sviato sviato le indagini, mascherandosi dietro compiacenti prestanome.

Giocatori e fisco frodati

Il fine ultimo era quello di continuare ad imporre la propria leadership nella gestione del gioco d’azzardo e per massimizzare i profitti i tre fratelli di Racale non avevano esitato a ricorrere anche alla manipolazione fraudolenta e alla successiva distribuzione di apparecchi elettronici in grado di frodare non solo i giocatori ma anche il fisco, al quale sono stati sottratti centinaia di migliaia di euro di introiti fiscali, il c.d. PREU (prelievo erariale unico e tassazione sulle vincite).

Il sequestro

I giudici della seconda sezione collegiale del Tribunale di Lecce (Presidente Fabrizio Malagnino, relatrice Bianca Todaro, a latere Annalisa De Benedictis), considerata la “sproporzione” tra i redditi del prestanome ed il valore della società, e tenuto conto che, in realtà, questa altro non era che una ditta “pulita” creata ad hoc proprio per consentire la prosecuzione delle attività illecite del gruppo racalino già colpito da grave misure di interdittiva antimafia, ha disposto il sequestro e la confisca di tutte le quote societarie nonché dell’intero compendio aziendale, costituito, tra l’altro, da oltre 1500 slot machine dislocate nel centro e sud Italia, 3 conti correnti e 22 automezzi, oltre che denaro contante rinvenuto dai finanzieri per circa 384 mila euro.

Il rapporto tra mafia e imprenditori nelle parole dei giudici

‘I giudici leccesi – si legge nel provvedimento – hanno precisato come le prove raccolte dagli investigatori siano state sufficienti a dimostrare il reimpiego nella società salentina, oggi confiscata, dei proventi illeciti ottenuti da precedenti gestioni, anch’esse finite nel mirino degli investigatori, in quanto sospettate di essere il frutto di un accordo mafioso tra imprenditori e appartenenti alla Sacra Corona Unita, in grado di garantire protezione e “penetrazione” commerciale in tutti territori gestiti dai clan, in cambio di spartizione di guadagni, assunzioni e “regalie” ai mafiosi, come ad esempio un prezioso anello in occasione delle nozze di una donna appartenente ad una delle famiglie di spicco della S.C.U. gallipolina, ma anche auto e cure mediche agli altri componenti, o denaro nel momento della scarcerazione, quando maggiormente questi ne avevano bisogno, pagamento di avvocati, ecc.. Non sono mancate, inoltre, elargizioni a “fondo perduto” per finanziare iniziative imprenditoriali delle famiglie mafiose salentine, tra cui anche l’acquisto di strutture ricettive nella zona di Gallipoli in cui la Sacra Corona Unita ha deciso di riciclare i proventi delle proprie attività delittuose’.

Nelle prossime ore, il collegio difensivo composto tra gli altri dagli avvocati Francesco Fasano e Gabriella Mastrolia, presenterà ricorso in Appello, contro il provvedimento di confisca.