Progettavano anche l’attentato al parroco di Parabita, così si riorganizzava il clan Giannelli

Scacco al ‘Clan Giannelli’, storico sodalizio mafioso della Sacra Corona Unita, passato dalle mani del boss Luigi a quelle del figlio Marco Antonio. Tra i 22 arrestati nel blitz di questa mattina all’alba c’è anche il vicesindaco di Parabita, Giuseppe Provenzano.

«Quando si afferma che la mafia non esiste più, si dice una cosa assolutamente impropria. Ha solo cambiato vestito, indossato un nuovo abito. I gruppi mafiosi si adeguano alla realtà, così come accade in altri settori della società. I clan, oggi, sono solo più ‘silenziosi’ rispetto al passato, operano prevalentemente in attività economiche evitando, dove possibile, gli episodi eclatanti che possano destare allarme». È con queste parole che il Procuratore aggiunto antimafia, Antonio De Donno ha illustrato i dettagli dell’operazione ‘Coltura’ che con l’arresto di 22 persone, tra cui Giuseppe Provenzano, Vicesindaco del comune di Parabita, ha decapitato il ‘clan Giannelli’, facente capo al boss ergastolano Luigi Giannelli e passato poi nelle mani del figlio Marco Antonio, diventato il nuovo ‘erede', il deux ex machina dello storico sodalizio mafioso della Sacra Corona Unita che teneva sotto scacco il sud Salento, Parabita e comuni limitrofi in particolare.
 
Un’operazione che si sarebbe dovuta chiamare ‘Santo in paradiso’, così come lo stesso Provenzano – all’epoca dei fatti anche assessore con delega allo Sport – era solito definirsi. L’espressione, sarebbe stata utilizzata dal vicesindaco in una discussione con uno dei componenti del clan. Provenzano, consapevole del suo ruolo all’interno del sodalizio, si sarebbe adirato di fronte al rifuto di un affiliato di non procacciare più i voti in vista delle elezioni amministrative del 2015. Per tutta risposta avrebbe, a sua volta minacciato, di non essere più appunto "il santo in paradiso". 
 
Le indagini del Ros, avviate nel 2013 dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, dunque, hanno cercato di ricostruire il processo di riorganizzazione interna del sodalizio mafioso e la reggenza assunta da Marco Antonio figlio, come detto, del boss storico condannato all’ergastolo come mandante del duplice omicidio di Paola Rizzello e di sua figlia, brutalmente uccise la sera del 20 marzo 1991. A tal proposito, come svelato nell’inchiesta, in cantiere ci sarebbe stato un attentato, o almeno un atto intimidatorio, contro il parroco del comune del Sud Salento, don Angelo Corvo, finito nel mirino solo per aver pubblicamente chiesto giustizia per l'omicidio della piccola Angelica e della madre massacrate nelle campagne di Parabita più di 20 anni fa. Il parroco, con le sue dichiarazioni avrebbe riacceso i riflettori sul caso.  Stessa “sorte” sarebbe toccata ad un maresciallo dei Carabinieri, reo di aver importunato con un contollo una ragazza del posto, probabilmente un'amica di Giannelli. Insomma, veri e propri atti di forza per acquisire il controllo del territorio. 
 
Traffico di sostanze stupefacenti ed estorsioni
Per quanto riguarda il traffico di sostanze stupefacenti, sia marijuana e cocaina, e nelle attività estorsive, il territorio era controllato da tre ‘batterie’ competenti in diverse aree: Parabita sotto la responsabilità di Marco Antonio Gianelli, Matino di competenza di Vincenzo Costa e Collepasso in cui dominava Cosimo Paglialonga. Insomma, nelle attività di narcotraffico – come emerso nelle indagini – le diverse articolazioni delinquenziali operavano autonomamente, sfruttando distinti canali di approvvigionamento, ma parte degli introiti, il cosiddetto ‘punto’,venivano fatti confluire in una cassa comune gestita da Marco Antonio, mediante la quale veniva assicurato il sostentamento della componente carceraria. E proprio attraverso Giannelli, Donato Mercuri e Claudio Donadei, reclusi da oltre 20 anni e uomini di fiducia del boss Luigi, facevano giungere disposizioni operative agli affiliati in libertà utilizzando i colloqui con i familiari.
 
Il ruolo del vicesindaco di Parabita
Come detto, in manette è finito anche il vicesindaco di Parabita, Giuseppe Provenzano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. L’uomo si sarebbe interessato a far assumere alcuni sodali del clan, o loro congiunti, come operatori ecologici nell’impresa i racconta di rifiuti che opera in quel comune. Non solo, avrebbe contribuito a rimpinguare le casse del clan con versamenti periodici in cambio del sostegno nelle elezioni amministrative del maggio 2015. Con quei soldi, ad esempio, venivano pagati i viaggi ai familiari per andare a trovare i propri cari detenuti in carcere.

…E quello di Pasquale Aluisi, titolare dell’omonima agenzia funebre
Analoga contestazione è stata mossa a Pasquale Aluisi, titolare dell’omonima agenzia funebre che avrebbe elargito, quasi periodicamente somme di denaro al sodalizio per garantire alla propria attività un regime di sostanziale monopolio. Secondo quanto ricostruito, il clan non avrebbe esitato a mettere in un angolo le imprese concorrenti, ricorrendo a intimidazioni e atti incendiari.
 
Tra gli arrestati c'è anche Ivan Mazzotta, infermiere di professione. Marco Giannelli si sarebbe rivolto a lui per riottenere la patente che gli era stata tolta: l'infermiere, secondo quanto emerso dalle indagini, lo avrebbe favorito scambiando le urine nel corso di un'analisi medica. 



In questo articolo: