Legata e chiusa in un ripostiglio durante la rapina, ma era una messinscena. Come agiva la banda degli assalti all’Aci

La donna altri non è che un’impiegata di un’impresa incaricata delle pulizie nella sede dell’Automobil Club e ha fatto da basista. Il gruppo composto da quattro persone è stato arrestato dagli agenti della Mobile nella giornata di oggi.

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Da vittima a carnefice nel giro di poco più di un mese. Era stata legata e rinchiusa nel ripostiglio nel corso di una tentata rapina alla sede di Via Orsini del Balzo dell’Aci ma, in realtà, era la moglie di uno dei malviventi e aveva il compito di fare da basista.

Sono partiti da lei gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Lecce per chiudere il cerchio sulla banda che si è resa presunta responsabile, nel mese di marzo, scorso della, ripetiamo, tentata rapina ai danni dell’ufficio sito in Via Orsini del Balzo e di quella, riuscita, nei confronti dell’edificio di Via Candido.

Per questi assalti sono finiti in manette:  Pierluigi Manisco, 48enne; Roberto Corpus, 52enne; Giuseppe Grasso, 49enne, tutti leccesi e Lucia D’Anna, 47enne residente a Lecce, ma nata a Palermo. I primi tre sono stati tradotti in carcere, la quarta, invece, si trova ai domiciliari. L’accusa per gli arrestati è di rapina aggravata e porto abusivo di arma in concorso tra loro.

I provvedimenti cautelari emessi dal Giudice per le Indagini Preliminari D’Ambrosio su richiesta del Sostituto Procuratore titolare dell’inchiesta, Stefania Mininni.

Le indagini

Le indagini poste in essere, hanno consentito agli investigatori di stringere il cerchio sugli arrestati, individuati, sia grazie al lavoro di visione delle numerose telecamere di videosorveglianza presenti nelle zone interessate, sia grazie ai risultati ottenuti da una specifica attività tecnica effettuata.

Da vittima a carnefice

Nel corso delle investigazioni, è emerso che Lucia D’Anna, impiegata per conto di una ditta di pulizie, svolgesse la sua attività all’interno degli uffici dell’ACI, circostanza grazie alla quale aveva fornito al marito, Pierluigi Manisco e ai suoi complici, particolari importanti circa le modalità di accesso agli uffici e al luogo in cui denaro era custodito.

Nel corso del primo assalto, le circostanze di tempo, non avevano consentito ai rapinatori di appropriarsi del denaro, cosa che invece è avvenuta nel corso del secondo, quando, avendo acquisito informazioni più dettagliate, i malviventi, questa volta entrati all’interno in due, hanno fatto razzia di denaro contante e assegni per un valore di oltre 6.000 euro, per poi darsi alla fuga, non prima di aver esploso  un colpo d’arma da fuoco a scopo intimidatorio.

La fuga è avvenuta  a bordo di un’autovettura, una Fiat panda, che dalle attività di riscontro è risultata essere in uso proprio a Manisco, vettura poi sequestrata in fase di esecuzione degli arresti. La stessa auto ha da subito destato l’interesse degli investigatori a causa delle particolarità della stessa: la mancanza del fascione laterale, ha da subito indirizzato gli approfondimenti investigativi che si sono concentrati sulla ricerca di autovetture simili.

Inoltre, la visione di alcune telecamere di videosorveglianza ha fatto in modo di evidenziare i parziali caratteri  alfanumerici della targa e giungere all’identificazione dell’intestatario del veicolo.

Il confronto effettuato tra le immagini citate e  quelle ricavate dal sopralluogo effettuato dai poliziotti nei pressi dell’abitazione di Manisco, non hanno lasciato dubbi circa la completa correlazione sia del colore che del modello dell’autovettura utilizzata per la rapina.

Particolari importanti sono emersi anche dall’ascolto degli impiegati presenti al momento dei due assalti quando gli stessi avevano asserito che i rapinatori, in chiaro accento locale, nel corso dell’assalto del 14 marzo, avevano fatto chiaro riferimento alla rapina fallita del 1° marzo, a causa della mancanza della chiave della cassaforte e che, invece, il 14 marzo erano riusciti a recuperare.

Nel corso dell’attività di arresto di Pierluigi Manisco e durante l’attività di perquisizione domiciliare sono stati rinvenuti e quindi sequestrati circa 50 grammi di eroina, già suddivisa in dosi, nascosti in un armadietto presente sia nella camera da letto che nella cucina.

“Chiudiamo la settimana con un buon risultato. Siamo riusciti a individuare e fermare un gruppo criminale, composto da tre persone più una donna che ha funto da basista degli assalti alla  sede Aci di Lecce”, ha affermato il Questore di Lecce, Leopoldo Laricchia.

“Siamo giunti a questo risultato grazie ai mezzi tecnici installati dai cittadini privati e alle risultanze investigative messe in atto dai nostri agenti.

Il fenomeno rapine a Lecce è un po’ particolare, in quanto in alcuni casi non si tratta di gruppi legati alla criminalità organizzata, bensì, di bande autonome”.

“Nel corso del primo caso siamo rimasti incuriositi dal fatto che una donna fosse stata legata e rinchiusa in un ripostiglio e da quel particolare sono partite le indagini”, ha invece dichiarato il dirigente della Squadra Mobile, Alberto Somma.

“In realtà, la signora altri non era che la moglie di uno dei componenti del gruppo, impiegata in una ditta incaricata di compiere le pulizie all’interno degli uffici dell’Aci.

La visione delle immagini delle telecamere di videosorveglianza presenti in zona, che ci hanno permesso di risalire al mezzo utilizzato; l’ascolto dei testimoni della tentata rapina e di quella consumata, hanno permesso di raccogliere tutta una serie di elementi per chiudere il cerchio”.

Attualmente sono in corso una serie di perquisizioni in casa degli arrestati che hanno portato al rinvenimento di eroina. La pistola con cui sono stati compiuti gli assalti ancora non è stata ritrovata.



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