La storia di Roberta Riina, la studentessa uccisa da un vagabondo

Era il 18 ottobre 2005 quando Roberta Riina fu trovata senza vita dalla sorella. L’assassino fu trovato sei mesi dopo, grazie alla testimonianza di un’altra donna

18 ottobre 2005. Un giorno come tanti per Rosalinda. Come d’abitudine aveva passato la notte nell’appartamento al secondo piano di una palazzina che si affaccia su via Marsala, a Partinico. Dopo la doccia si era accorta che la piastra per stirare i capelli era al piano di sotto, dove dormiva la sorella. Entra con le chiavi, ma prima tornare a casa fa capolino nella stanza di Roberta per vedere se dormisse ancora. La trova riversa sul letto, con la nuca sfondata, ricoperta di sangue. Uccisa con ferocia.

Il giallo di Partinico: la pista del delitto passionale

Le indagini per cercare di dare un volto e un nome all’assassino di Roberta Riina prendono una strada “sbagliata”. Dalla ricostruzione delle ultime ore della studentessa era emerso un dettaglio che ha orientato le indagini verso la pista passionale. Quella sera la ragazza aveva cenato con la sorella, ma alle 22.00, dopo aver ricevuto una telefonata, era andata via in tutta fretta, come se dovesse aspettare qualcuno. Anche dal sopralluogo era emerso un particolare interessante: in casa non erano stati notati segni di effrazione. La vittima conosceva il suo assassino o ha aperto la porta per qualche motivo.

La vita della 22enne viene passata al setaccio, ma non emerge nulla: iscritta alla facoltà di Scienze di comunicazione a Palermo, il sogno di diventare giornalista chiuso nel cassetto, un lavoro come commessa nel negozio della mamma nel tempo libero e volontaria in chiesa. Non aveva nemici e neanche un fidanzato. Allora poteva essere stato un innamorato respinto o non corrisposto come suggeriva la dinamica del delitto.

La svolta: incastrato un maniaco

La svolta arriva in una notte di giugno, quando una donna si presenta al Pronto Soccorso seminuda e sotto choc per raccontare che un maniaco voleva violentarla. «Mi ha picchiata» confida. Dice di essere riuscita a fuggire quasi per miracolo. In mano, la donna stringe una ciocca di capelli strappata al suo aggressore. Una prova che diventa un nome: Emilio Zanini, ‘Diabolik’ come lo chiamano in paese per la sua capacita di arrampicarsi negli appartamenti che voleva svaligiare. A quarantadue anni, l’uomo vanta una storia criminale costellata da diversi precedenti. Nella sua fedina penale i furti la fanno da padrone, ma è finito nei guai anche per reati sessuali. Perfino sua nonna ottantenne lo aveva denunciato per un’aggressione nel cuore della notte.

Il Dna fa il resto e incastra l’uomo. Il giallo di Partinico sarebbe rimasto senza colpevoli se la donna non avesse avuto il coraggio di raccontare l’aggressione nonostante per la verità fosse stata ripudiata dal fratello e licenziata dal lavoro. Roberta non aveva aperto la porta al suo assassino. Il vagabondo di Partinico si era arrampicato sul balcone e si era intrufolato in casa dopo aver tolto il gancio della persiana che ha richiuso quando è andato via dopo aver ammazzato la studentessa con un oggetto che non è stato mai ritrovato.

Il rebus è stato risolto, ma resta il dolore. Rosalinda, ogni anno, scrive una lettera alla sorella.



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