Accusava il carabiniere di essere la causa della separazione della figlia. Così Michele ha ucciso Silvano Nestola

Erano arrivati ad installare un gps sulla macchina della figlia per controllarne i movimenti. La relazione con Silvano Nestola per i genitori era una vera e propria ossessione. Ecco come si è arrivati all’arresto per l’omicidio.

Giunge dunque ad una svolta l’indagine sull’omicidio del maresciallo Nestola, avvenuto la sera del 3 maggio scorso a Copertino. Sin da subito i militari del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Lecce, coadiuvati dagli uomini del Raggruppamento Operativo Speciale, avevano capito che nell’assassinio dell’ex carabiniere Silvano Nestola la pista della criminalità organizzata e quella del contesto professionale della vittima non c’entravano nulla. Ci si doveva concentrare piuttosto, per venire a capo dell’orribile esecuzione, sulla vita privata di Nestola, da tutti descritto come un uomo molto riservato.

Ed è stata proprio la vita privata la chiave di lettura del crimine. Nestola dopo essersi separato dalla moglie aveva iniziato dall’estate scorsa una relazione con Elisabetta Aportone, anche lei separata, figlia di Michele, l’uomo arrestato e considerato il colpevole dell’omicidio. Tale relazione non era vista di buon grado ed era stata fortemente osteggiata da Michele Aportone, 70anni di San Donaci, padre della ragazza appunto e da Rossella Manieri, sua moglie, che vedeva in Silvano il responsabile della separazione della figlia dal marito.

Fortemente risentita, in più occasioni, la Manieri, aveva affrontato Silvano, anche per strada ed in compagnia della stessa figlia Elisabetta. La donna più volte aveva svilito l’immagine del Carabiniere, arrivando ad attaccarlo verbalmente in maniera diretta.

La decisione di Elisabetta di separarsi di fatto dal marito e intraprendere una relazione con Silvano Nestola aveva compromesso i rapporti con la famiglia. Padre e madre di Elisabetta non volevano saperne più nulla della figlia che sembrava non interessata ad incontrare i genitori.

Addirittura i genitori di Elisabetta Aportone avevano attivato un Gps che veniva utilizzato per monitorare gli spostamenti della figlia. Per gli inquirenti si trattava di un’autentica ossessione.

”L’assillante controllo sulla vita di Elisabetta, ormai adulta – scrivono i Carabinieri nella loro nota – non si limitava alle manifestazioni verbali; avevano infatti, i genitori, congiuntamente acquistato e fatto installare sull’autovettura in uso a Elisabetta un apparato GPS allo scopo di controllarne gli spostamenti”.

Tutto ciò ha fatto pendere sulla coppia numerosi indizi di colpevolezza raccolti dagli investigatori dei carabinieri che hanno portato i Pubblici Ministeri della Procura di Lecce, il Dott. Alberto Santacatterina e la Dott.ssa Paola Guglielmi, che hanno coordinato le indagini, a chiedere ed ottenere dal Gip, il Dott. Sergio Mario Tosi, l’arresto di Michele Aportone.

A corroborare l’intuizione e i riscontri dei Carabinieri le immagini di un sistema di videosorveglianza installato in una zona non distante dall’area sosta camper “Santa Chiara“ (di cui Michele Aportone risulta titolare) che ritraggono l’uomo a bordo del suo Fiat Ducato alle ore 19.30 circa del 3 maggio, giorno in cui viene ucciso Silvano Nestola. Il 70enne esce per raggiungere l’abitazione di Copertino; le immagini, successivamente lo riprenderanno anche al rientro in quella stessa area camper alle ore 22.30 circa, evidentemente dopo aver consumato l’omicidio.

Per i militari dell’Arma, Aportone non avrebbe compiuto il tragitto verso casa della sorella dell’uomo che aveva intenzione di uccidere a bordo sempre del furgone; infatti, le risultanze investigative avrebbero evidenziato come ad un certo punto, dopo aver lasciato il furgone nei pressi di una carrozzeria di Leverano, l’uomo aveva proseguito il percorso a bordo di un ciclomotore che evidentemente aveva dapprima caricato sullo stesso furgone.

Tutto, insomma, studiato nei minimi dettagli per gli inquirenti. Questo ciclomotore era stato poi ritrovato bruciato, proprio nei pressi dell’area camper gestita da Michele Aportone, il quale si era preoccupato di distruggerlo al fine di scongiurare la scoperta di tracce della sua colpevolezza.

Ulteriori sviluppi dalle indagini sono arrivati dagli esami scientifici eseguiti dal Ris di Roma che hanno accertato la presenza di minuscole particelle di polvere da sparo sugli indumenti dell’assassino riconducibili ai colpi esplosi da un fucile da caccia, arma ancora oggetto di assidua ricerca da parte degli investigatori.

Dopo l’arresto eseguito dai Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce, Aportone è stato portato, prima, presso la caserma del Comando Provinciale dei Carabinieri di Lecce e, dopo le notifiche di rito e le operazioni di fotosegnalamento, su disposizione del GIP di Lecce, condotto presso Borgo San Nicola in attesa dell’interrogatorio di garanzia previsto nei prossimi giorni.



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